Bologna, la commemorazione a 36 anni dalla strage alla stazione (foto LaPresse)

La questione della cosiddetta pista palestinese nella strage di Bologna

Massimo Bordin

La procura ha esaminato gran parte delle carte di cui si parla in questi giorni e ha archiviato tutto

Oggi qui si onora un impegno preso e si completa la cronaca delle vicende giudiziarie legate alla strage di Bologna affrontando la questione della cosiddetta pista palestinese presentata in alternativa alla matrice neofascista di cui parla la sentenza, almeno per quel che riguarda l’esecuzione della strage. La procura di Bologna ha esaminato gran parte delle carte di cui si parla in questi giorni e ha archiviato tutto. Non è decisiva come argomentazione, perché è difficile che lo stesso ufficio che ritiene di aver chiuso un fascicolo con successo, riconosca da solo di aver sbagliato, ma alcuni elementi vanno presi in considerazione. La perizia fatta sull’esplosivo usato in attentati del Fplp comparato a quello usato a Bologna ha dato esito negativo. La minaccia di ritorsioni del gruppo palestinese, che molto preoccupava il colonnello Giovannone, non è comunque comparabile con i dettagliati piani di attentati rinvenuti in quel periodo negli ambienti dell’estrema destra. Negli archivi della Stasi che foraggiava e controllava il Fplp e il “gruppo Carlos”, non si è trovato nulla su Bologna. Thomas Kram, l’estremista tedesco presente a Bologna e registrato in albergo col suo vero nome, non faceva parte del gruppo Carlos. Abu Saleh, il palestinese arrestato per la cui liberazione il Fplp avrebbe fatto saltare la stazione di Bologna, venne sì scarcerato ma un anno dopo la strage. Un anno durante il quale il Fplp non si sentì più. C’è ancora dell’altro, ma basta questo per rendere l’ipotesi palestinese fragile almeno quanto quella che ha portato alla condanna di Mambro e Fioravanti.

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