Nino Di Matteo (foto LaPresse)

Il fuggi fuggi dal processo del secolo

Luciano Capone

I campioni della trattativa dribblano la trattativa, e si capisce perché

Adesso che Antonino Di Matteo dà l’impressione di essere disponibile a scendere in politica – a fianco del M5s – cosa ne sarà del processo sulla Trattativa stato-mafia? La sensazione è che ormai nessuno prenda più la vicenda sul serio. Eppure si tratta, nelle premesse, di una delle più importanti inchieste della storia d’Italia, che ha coinvolto le istituzioni fino al massimo vertice. E’ il presunto patto scellerato con cui – all’alba delle stragi mafiose in cui sono morti Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e le loro scorte – alcuni settori dello stato e di cosa nostra avrebbero ridisegnato l’assetto politico del paese.

 

Ma il comportamento dei suoi principali protagonisti lo sta trasformando in una tragicommedia. Antonio Ingroia, il principale pubblico ministero dell’inchiesta, nel bel mezzo del processo se ne va in Guatemala, per un incarico internazionale che abbandona dopo due mesi per candidarsi a presidente del Consiglio. L’altro titolare dell’inchiesta, Nino Di Matteo, arrivato solo da pochi mesi alla procura nazionale antimafia, proprio mentre il processo di primo grado si avvia lento e stanco verso la conclusione, non esclude di essere disponibile a valutare un ruolo da futuro ministro. Ma questo processo a chi interessa? I magistrati titolari dell’inchiesta quanto credono nel loro lavoro o quanto cercano una via di fuga? E’ come se, durante il Maxiprocesso, Borsellino se ne fosse andato in Giamaica e Falcone si fosse candidato con qualche partito. 

 

Ma gli elementi grotteschi di questa inchiesta non si limitano alle traiettorie politici dei pubblici ministeri, basti pensare alla figura di Massimo Ciancimino. Il supertestimone del processo è un personaggio che da anni tiene nascosto l’uomo chiave dell’inchiesta, l’anello di congiunzione tra Stato e Antistato, l’agente segreto che dagli anni Settanta ha affiancato Don Vito Ciancimino nella “trattativa perenne” tra stato e mafia. Costui è talmente misterioso che ha persino due nomi finti, “Signor Franco” e “Signor Carlo”. L’uomo nell’ombra ha avuto in mano il “papello”, il contratto diabolico scritto da Totò Riina. Poi – sempre lui – ha concordato con Bernardo Provenzano l’arresto di Riina, poi ha anticipato a Ciancimino Jr la notizia dell’arresto di Provenzano e infine ha minacciato attraverso i suoi emissari lo stesso Ciancimino. Nessuno è mai riuscito a indentificarlo (figurarsi trovarlo), perché il figlio di don Vito Ciancimino una volta dice che il “signor Franco” è un barista, una volta un pensionato, una volta un dirigente del Quirinale…

 

Ma non finisce qua perché, mentre gli investigatori vanno a caccia di questo fantasma, Ciancimino, il superteste del processo del secolo, viene beccato con una trentina di candelotti di tritolo nel giardino di casa. Sembra incredibile, ma è così. Esplosivo che tra l’altro Ciancimino aveva trasportato da Bologna a Palermo nel cofano dell’automobile. La detenzione di questo esplosivo gli è poi costata la condanna in via definitiva a tre anni, che si aggiunge a una condanna per aver calunniato un ufficiale dei servizi segreti in una delle sue strabilianti confessioni.

 

Un altro testimone d’eccellenza nel processo è il caposcorta del pm Di Matteo, cosa di per sé già anomala, non fosse altro per il fatto che lo stesso caposcorta aveva già testimoniato nel processo di Di Matteo per il favoreggiamento della latitanza di Bernardo Provenzano a carico dell’ex generale dei Ros Mario Mori e dell’ex colonnello Mauro Obinu, entrambi assolti definitivamente. Ma a ciò si aggiunge il fatto che il caposcorta Saverio Masi è imputato per calunnia e diffamazione per le dichiarazioni “tardive” e “contraddittorie” con cui in un altro procedimento ha accusato ingiustamente dei carabinieri per vicende sempre legate alla trattativa. Come se non bastasse, il caposcorta di Di Matteo è stato condannato in via definitiva per falso, per aver taroccato dei documenti allo scopo di non pagare una multa (un po’ come Ciancimino, nei guai per aver calunniato ufficiali delle forze dell’ordine e taroccato documenti).

 

E visto che tra magistrati che vanno in Guatemala e si buttano in politica, testimoni che calunniano, pasticciano con i documenti, dicono balle e girano per la penisola con l’auto piena di tritolo, in questo processo di normale non c’è nulla, basta poco per sfiorare il paranormale. Il 17 luglio, in occasione delle celebrazioni per il venticinquesimo anniversario della strage di via D’Amelio, Ingroia e Di Matteo saranno presenti ad un convegno seduti a fianco a Giorgio Bongiovanni. Si tratta di un medium antimafia che ha le stimmate e parla con gli alieni.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali