Conferenza del Labour Party a Brighton (foto LaPresse)

Il Labour a Brighton fa il Kama Sutra della Brexit

Paola Peduzzi

Cronache da un partito infelice (che si spara sui piedi)

Le riunioni di famiglia sono spesso infelici e quella del Labour britannico ne è la conferma, anche perché è una famiglia che non è al potere dal 2010 e questi nove anni di occasioni mancate e di pulizie domestiche continue non sono stati certo curativi. Ma era difficile arrivare così infelici come sono i laburisti a Brighton in questi giorni, pare quasi che l’infelicità sia prevista dal manifesto programmatico tanta è la solerzia con cui tutti, leadership, parlamentari, sostenitori, si sono dedicati a farsi del male – da soli, uno con l’altro, a gruppi: vale tutto. Jeremy Corbyn, leader del partito, solitamente osannato come il salvatore che il Regno Unito aspetta, si è districato tra varie mozioni sulla Brexit che vogliono spingerlo verso una posizione chiara – il remain – che lui non vuole sostenere, e non lo fa, ma intanto è fallito il suo intrigo di palazzo per far fuori il suo vice, Tom Watson. Questa è la sconfitta che brucia di più, perché Corbyn e i corbyniani hanno tanti difetti ma di solito sui killeraggi interni non sbagliano mai, invece ora il sopravvissuto Watson batte il cinque a tutti quelli che incrocia, ripete: “Il sicario si è sparato sui piedi”, e ride. Il sicario è Jon Lansman, leader di Momentum, il movimento che ha portato Corbyn alla guida del Labour e che ha risvegliato la base del partito: in questa guerra per bande che ci ostiniamo a chiamare partito, Lansman ieri si è ritrovato a gestire un’altra, inaspettata frattura, quella dei sindacati che da monolite corbyniano qual erano si sono divisi sulla posizione ufficiale da adottare sulla Brexit (come dice Stephen Kinnock: il Labour ha più posizioni sulla Brexit del Kama Sutra).

 

Intanto sul palco della conferenza di partito si avvicendavano un po’ di pesi massimi, che dicevano “remain” e giù applausi mentre i corbyniani doc digrignavano i denti. Lo spettacolo più infelice di sempre, appesantito anche da un’altra battaglia cosiddetta di principio come quella dell’abolizione delle scuole private portata avanti da corbyniani doc – come Diane Abbott, la fedelissima – che ovviamente hanno mandato i loro figli alle scuole private (anche Corbyn ci è andato, ma “era tanto tempo fa!”). Il cancelliere dello scacchiere ombra, John McDonnell, un altro che ha gridato “remain” dal palco, ha cercato di distrarre l’attenzione del pubblico e dei commentatori dalla Brexit lanciando il piano ambizioso di introdurre la settimana di 32 ore entro dieci anni (presumendo un governo laburista), “dobbiamo lavorare per vivere non vivere per lavorare”.

 

Grande festa della base, grandi commenti favorevoli, finalmente qualcosa di concreto e di sinistra, anche se poi a leggere bene le reazioni e le rilevazioni si scopre che dopo le dichiarazioni di sostegno c’è sempre una postilla: basta che non ci impoveriamo. Ma c’è una soluzione anche per la povertà: la aboliamo. Non c’è limite a quel che il Labour al governo potrà fare, ma prima va risolta la faccenda della Brexit e nonostante tutte le contorsioni e le illusioni e le proposte carezzevoli, la storia infelice di questa famiglia è sempre la stessa: Corbyn deve essere obbligato a schierarsi contro la Brexit, altrimenti trova e troverà una scappatoia per non scegliere mai. Con degli azzardi che rischiano di schiantare tutto il mondo contrario alla Brexit (o di spingerlo verso altri partiti) che continua a gravitare attorno al Labour: tutta la strategia di Corbyn si fonda sul fatto che il governo di Boris Johnson non riesca a trovare un accordo con l’Europa e sia costretto a chiedere una proroga, tradendo la promessa fatta al suo pubblico di riferimento brexitaro. Che succede se invece Johnson riesce a negoziare un accordo? E se riesce addirittura a farlo passare ai Comuni? In quel caso – che non è da escludere e molti a Brighton non lo escludono affatto – bisognerà chiedere un “people’s vote”, un referendum, che è quel che buona parte del Labour chiede da tempo: all’infelicità ci si abitua, agli spari suoi piedi no.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi