La leader dei Lib-dem Jo Swinson vuole ribaltare la Brexit
Presi dall’euforia, i liberaldemocratici inglesi alzano la posta e formano tre crepe nell’alleanza che si oppone all'uscita dall'Ue
Milano. L’opportunità è adesso e va afferrata, non c’è tempo da perdere, oggi si costruisce il più grande movimento liberale che si sia mai visto: muoviamoci. Jo Swinson, leader dei liberaldemocratici britannici, ha tenuto ieri il discorso di chiusura della conferenza del partito, in cui ha lanciato non soltanto la propria candidatura a diventare primo ministro inglese ma anche le sue condizioni sulla Brexit, o meglio sul no Brexit: la revoca dell’articolo 50, l’annullamento di fatto del referendum del 2016. La Swinson ha deciso di giocarsi così il suo primo discorso da leader, il primo manifesto per un’elezione che prima o poi ci sarà inevitabilmente, prendendo le distanze non soltanto dai Tory ma anche dal Labour, che pure nelle ultime settimane si è avvicinato come mai prima d’ora alle istanze dei “remainers”, gli anti Brexit. Sotto il palco, la applaudivano gli ex Tory e gli ex Labour che negli ultimi mesi hanno abbandonato i loro partiti per unirsi ai liberaldemocratici, gli ultimi arrivati che in questi tre giorni di riunione hanno fatto di tutto per farsi accettare dalla nuova famiglia, compreso cantare canzoni-parodie in cui si parlava male dei parenti della vita precedente, anche di quelli cui alcuni avevano voluto bene (vedi Tony Blair).
La vita dei fuoriusciti non è mai semplice, e non lo è a maggior ragione ora che la Swinson alza ancora di più la posta, provando a trascinare il popolo anti Brexit fuori da ogni comfort zone, là dove la volontà popolare viene stracciata da un atto del governo. Certo, prima bisogna vincere le elezioni, quindi per molti commentatori siamo nell’ambito della fantapolitica e non bisogna preoccuparsi troppo, ma l’alleanza dei “remainers” non riesce a prendere con leggerezza questo strattone, che non soltanto stravolge quel che è stato fatto finora – contiamoci per vedere se abbiamo cambiato idea: il referendum – ma aggrappa il proprio futuro a elezioni da tenere il prima possibile.
Caroline Lucas, leader dei Verdi, uno dei partiti dell’alleanza anti Brexit, ha scritto: “Il referendum sulla Brexit non ha dato l’esito che molti di noi speravano. Ma non si può fare come se quell’esito non ci sia stato. I Lib-dem stanno facendo proprio questo. Ma non si può portare indietro l’orologio né ignorare i 17 milioni di inglesi che hanno votato leave. Così la nostra democrazia non si rafforza, anzi, è in pericolo”. Questa è la prima crepa evidente di un progetto “oltre le tribù” che, con l’arrivo della Swinson a luglio, era parso molto avanzato, ma non è l’unica. L’altra riguarda proprio le elezioni, che il governo conservatore di Boris Johnson vorrebbe subito e che il Labour di Jeremy Corbyn vuole soltanto quando sarà scongiurata definitivamente l’ipotesi del no deal.
Alastair Campbell, ex spin doctor di Blair sospeso dal Labour perché alle elezioni europee ha votato proprio i Lib-dem, ha spiegato: il punto di arrivo dell’alleanza anti Brexit deve essere un referendum, soltanto in questo modo si potrà davvero capire che cosa vogliono gli inglesi, le elezioni rischiano di portare a un altro stallo, se non a un’uscita poco ordinata dall’Unione europea. E poi c’è la crepa principale, quella che preoccupa non tanto i nuovi arrivati o quelli di passaggio, quanto i liberaldemocratici stessi che, dopo anni molto difficili, si ritrovano al centro della scena e, quando alzano lo sguardo sopra l’euforia, si accorgono che la loro centralità dipende proprio dalla Brexit.
Che ne sarà di questo partito quando non ci sarà più una sfida comune, la necessità di unirsi per fare massa contro la Brexit? La Swinson per ora non ha dato risposte, ha parlato di un futuro europeista florido e carico di occasioni, alludendo alla possibilità di ricominciare a pensare senza preoccuparsi di farsi inghiottire dalla Brexit ma senza fornire dettagli per la vita dopo l’eventuale scampato pericolo. I suoi sostenitori dicono che ora la battaglia è quella sulla Brexit e che ogni altra proposta passerebbe inevitabilmente in secondo piano; i suoi detrattori dicono al contrario che un’eccessiva radicalizzazione sulla Brexit rischia di ipotecare il futuro sia dell’alleanza con gli altri partiti sia dei liberaldemocratici. La Swinson per ora non si preoccupa, scatta foto in spiaggia con i nuovi parlamentari, attacca Johnson e riserva la battuta più tagliente a Corbyn: se Nigel Farage è “Brexit by name”, il leader del Labour è “Brexit by nature”. L’applauso è stato fragoroso, gli ex laburisti in platea si sono guardati complici, ma una crepa più dolorosa di quest’alleanza impossibile con il Labour non c’è.
L'editoriale dell'elefantino