Un evento elettorale della leader dei liberaldemocratici britannici Jo Swinson (foto LaPresse)

L'interfenza interna nelle elezioni inglesi

Paola Peduzzi

Il voto britannico è il primo test di quel che abbiamo capito e curato della disinformazione online. Due episodi

Milano. Le elezioni britanniche previste per il 12 dicembre sono considerate il primo test delle lezioni che abbiamo imparato dal 2016 a oggi in termini di manipolazioni informative, ads sui social media e propaganda. Mark Scott, che si occupa di tecnologia per Politico, ha lanciato un progetto di monitoraggio delle campagne digitali dei partiti inglesi (si possono seguire gli aggiornamenti sull’account Twitter @FBPoliticalAds), che parte da una constatazione per nulla rassicurante: “Nonostante i molti allarmi da parte dei regolatori e dei politici, il governo inglese non ha fatto molto per aggiustare le debolezze presenti nelle leggi elettorali antiquate del Regno. Questo aumenta la paura che le prossime elezioni saranno ancora una volta guastate da interferenze politiche digitali clandestine”. Al momento, i tre principali partiti stanno cercando di fare canvassing (porta a porta) online: Labour e Tory hanno poche ads che cercano di far girare molto, i primi si concentrano sulla Brexit, i secondi sul sistema sanitario e contro i finanziatori miliardari dei rivali. I Lib-dem invece hanno fatto molte più ads molto targetizzate nelle circoscrizioni in cui puntano a costruire una alleanza anti Brexit che scavalchi non soltanto i Tory ma anche il Labour. Ma strategie digitali a parte, in queste ore non si fa che parlare di due episodi che sintetizzano bene l’interferenza clandestina di cui parla Scott. Il primo riguarda Jo Swinson, leader dei liberaldemocratici, e suo marito, l’ex parlamentare Duncan Hames: in sintesi sostiene che il signor Swinson beneficia personalmente di fondi europei ed è per questo che la signora Swinson vuole bloccare la Brexit. Secondo la Bbc, questa è una delle storie politiche più condivise (virali) di questo inizio di campagna elettorale, con più di un milione e mezzo di persone coinvolte. La viralità è iniziata dall’account Twitter “HenryVII”, che interpellato dalla Bbc dice di essere un italiano di nome Dino che vive in Galles.

 

Da Twitter il post è passato su Facebook e via via è diventato il più condiviso su pagine Fb e siti legati sia al mondo anti Brexit sia a quelli laburisti più radicali. Di passaggio in passaggio si sono deturpate le informazioni iniziali sul lavoro del marito della Swinson nella filiale inglese di una ong che opera a livello europeo, la Transparency International, che nel 2017/2018 ha preso duemila sterline in fondi europei, non molte insomma.

 

Il secondo video riguarda un’intervista data dal laburista Keir Starmer all’anchorman Piers Morgan: è stata modificata dai conservatori in modo che sembri che Starmer non sappia rispondere a una domanda sulla Brexit. Nel video originale Starmer risponde subito, in quello dei Tory fa una pausa lunga, e lo slogan dice: “Il Labour non ha un piano per la Brexit”. Il presidente dei Tory difende l’operazione, ma persino un conservatore dice: perché cadere in queste trappole se la risposta di Stramer era già di per sé un orrore? Bastava mettere quella vera.

 

Si tratta di episodi piccoli, ma se si aggiunge il fatto che il governo inglese non abbia voluto pubblicare un rapporto parlamentare che chiarisce le ingerenze russe nella politica inglese nel referendum del 2016, si capisce perché molti sono convinti che questo primo test della nostra consapevolezza sull’intossicazione informativa non andrà benissimo. Freedom House, think tank americano, ha appena pubblicato il suo studio annuale “Freedom on the Net” in cui ci sono delle conferme – per il quarto anno di fila la Cina risulta il paese che più abusa della libertà su internet, con un’estremizzazione della censura per l’anniversario di Tiananmen e le proteste a Hong Kong – e nuove suggestioni. La più importante è, come dice il presidente di Freedom House, che “molti governi stanno scoprendo che sui social media la propaganda funziona meglio della censura”. Le interferenze straniere esistono e sono state anche dimostrate, ma sono le interferenze “domestiche” ad aver avuto un peso straordinario rispetto al passato: è una “distorsione politica” guidata da forze interne. In America, dove la libertà su internet è, secondo questo studio, diminuita, “la disinformazione riguarda soprattutto gli eventi politici più rilevanti ed è diffusa in modo sempre più evidente da attori interni”. I governi si sono messi a fare una sorveglianza massiccia sui social media, in modo da fare una mappa delle relazioni tra gli utenti e delle loro predisposizioni, trasportando la disinformazione da “bolle marginali al mainstream politico”. Secondo Freedom House, “le piattaforme digitali sono il nuovo campo di battaglia della democrazia”, e il fatto che l’interferenza interna abbia influenzato 26 dei 30 paesi che hanno tenuto le elezioni fa pensare che il test inglese sia ancora più rilevante. Al momento però non è rassicurante.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi