Papa Francesco (Foto LaPresse)

Epurazioni papali

Matteo Matzuzzi

Meno teologia e più sociologia. Il nuovo corso dell’Istituto Giovanni Paolo II per la famiglia è molto bergogliano

Roma. L’Istituto Giovanni Paolo II per studi sul matrimonio e la famiglia, quello fondato nel 1982 per volontà del Papa polacco, non esiste più. Lo si era capito già due anni fa, quando – due giorni dopo la morte del suo primo preside, il cardinale Carlo Caffarra – fu promulgato il motu proprio “Summa familiae cura” con cui si chiudevano i battenti all’Istituto e se ne fondava uno nuovo, “per le scienze del matrimonio e della famiglia”. Pochi giorni fa, l’atto conclusivo: il Gran cancelliere, l’attivissimo mons. Vincenzo Paglia, ha spedito le lettere di licenziamento ad alcuni professori, non più in linea con il nuovo corso che fa dell’Istituto una sorta di dipartimento di sociologia che nulla ha a che vedere con l’idea originaria di Karol Wojtyla. Per rendere ancora più chiaro il messaggio, Paglia ha stabilito la soppressione della cattedra di Teologia morale fondamentale, quella che fu di Caffarra, al quale è stato almeno risparmiato in vita questo scempio.

 

È una vicenda torbida, che affonda le radici ai tempi del doppio Sinodo sulla famiglia, che vide messi da parte i professori dell’Istituto – basta scorrere l’elenco degli esperti e degli invitati a vario titolo – e che si è sviluppata nell’ultimo biennio. Al centro di tutto, la questione degli statuti, da rielaborare secondo il motu proprio papale. Nel 2018, mons. Paglia propose al Consiglio d’Istituto e al Consiglio internazionale d’istituto (quindi anche alle sedi periferiche ai quattro angoli del globo) una bozza che ha prodotto, come reazione, la rivolta del corpo docente – ovviamente non tutto. Tre erano i punti di profondo disaccordo: l’enorme potere che confluiva nelle mani del Gran cancelliere (che solitamente è una figura di garanzia e nulla più), la struttura della didattica (nuovi insegnamenti per “adeguarsi alla realtà” e pazienza per la teologia morale che rappresentava il muro portante dell’Istituto), la disposizione finale (articolo 89, poi divenuto 90 nella versione approvata) che prevedeva la decadenza di tutti gli incarichi accademici e amministrativi, rimettendo ancora al Gran cancelliere (cioè a Paglia, sempre a lui) l’onere e l’onore di decidere chi salvare e chi dannare (cioè licenziare).

 

Davanti alla prevedibile rivolta per chi si è formato alla scuola di Caffarra, il neo preside Pierangelo Sequeri aveva garantito che nessuno sarebbe stato licenziato. Si formò così una sottocommissione ristretta interna – esclusi i docenti – per provvedere alla stesura di emendamenti al progetto presentato da Paglia. Il lavoro ultimato fu consegnato a quest’ultimo, che però lo trattenne per due mesi senza darlo in visione ai vicepresidi delle sedi internazionali. A giugno, il coup de théâtre: Paglia annuncia di avere già trasmesso tutto alla congregazione vaticana competente, ormai prossima all’approvazione finale. I vicepresidi all’estero giungono a Roma a fine mese per il Consiglio del 27 e 28 giugno, viene loro consegnata la bozza in via d’approvazione (in italiano) e si chiede loro di esaminarla entro il 2 luglio. L’11 luglio, gli statuti rielaborati dal Gran cancelliere sono stati approvati. Come chiarisce subito lo stesso Paglia, sono gli statuti di un nuovo istituto. Quello vecchio, pensato da Wojtyla, non esiste più. Spetterà ora al Gran cancelliere stabilire chi tenere e chi congedare, sovrintendendo – come mai accaduto prima – anche agli insegnamenti curriculari proposti.

 

Dopotutto l’ultimo articolo, il 90, era stato studiato proprio per questo fine: provocare un ricambio di personale docente, meno legato al corso giovanpaolino e più incline ad “adattarsi alla realtà”, come va di moda oggi. Implementando cioè le linee guida di Amoris laetitia, con le famiglie patchwork e tutto il resto. Quasi che la teologia morale fondamentale fosse qualcosa di astratto, buono solo per corsi universitari e simposi professorali. Quanto si sbagliava, insomma, il Papa polacco, per di più fatto santo. Nulla di sorprendente, però, se si rilegge il motu proprio di Papa Francesco, in cui si chiariva che “nel limpido proposito di rimanere fedeli all’insegnamento di Cristo, dobbiamo dunque guardare, con intelletto d’amore e con saggio realismo, alla realtà della famiglia, oggi, in tutta la sua complessità, nelle sue luci e nelle sue ombre”. Sottinteso: prima non era così.

 

Il provvedimento papale cambia lievemente il nome dell’Istituto (da “studi” a “scienze”) ma ne prevede una radicale trasformazione. L’idea originaria, quando Giovanni Paolo II presiedeva personalmente i consigli d’Istituto, partiva dalla constatazione che dopo il travaglio seguito alla promulgazione di Humanae vitae, a essere in crisi era non solo la morale sessuale, ma anche i fondamentali dell’antropologia cattolica. Da qui la nascita di un centro studi che aveva nella teologia morale e nell’antropologia i due assi portanti. A sovrintendere ai programmi era il Papa in persona, affiancato dall’allora don Carlo Caffarra. Con Bergoglio, tutto cambia: a rilevare soprattutto sono le scienze umane (sociologia e psicologia) mentre la teologia morale passa in secondo piano, fino ad arrivare appunto alla soppressione della cattedra.

 

Secondo i fautori del “nuovo”, lo scandalo non ha ragion d’essere: si tratta di un mutamento necessario per stare al passo con i tempi ed è un cambiamento richiesto esplicitamente da Francesco, il Papa, che fin dall’elezione ha fatto capire che le cose sulla famiglia sarebbero state cambiate. Nel 2014 il cardinale Oscar Maradiaga, ben addentro ai conciliaboli di Santa Marta tanto da essere posto dal Pontefice a capo della commissione incaricata di riformare la curia, disse: “Ho chiesto al Papa il perché di una nuova assise sulla famiglia dopo quella del 1980 e la bella esortazione Familiaris consortio del 1983. Lui mi ha detto che tutto questo accadeva trent’anni fa e che oggi quel modello di famiglia per la maggior parte delle persone non esiste più. Ed è vero, abbiamo famiglie patchwork, genitori single, maternità in affitto, matrimoni senza figli. Per non parlare delle coppie formate da persone dello stesso sesso. Nel 1980 questi fenomeni non si vedevano all’orizzonte”. Reset, dunque, benedetto dal Papa.

 

Dall’altro lato della barricata, le idee sono però altrettanto chiare: non potendo andare all’assalto di Humanae vitae, si colpisce Veritatis splendor, anima dell’Istituto. Di Familiaris consortio non si parla neanche più: superata da Amoris laetitia, dalle sue note a piè di pagina, dai rimandi ai testi di mons. Victor Manuel Fernández, fatto nel frattempo arcivescovo e – prima di essere promosso alla sede de La Plata – messo a capo della Pontificia università cattolica argentina. Tra rivoluzioni annunciate, dicasteri creati, soppressi e accorpati, giubilei della misericordia, viaggi epocali e dotte lezioni di geopolitica, il rischio che corre il pontificato presente è di passare alla storia per aver trasformato famiglia e matrimonio in oggetto da sezionare in lezioni di purissima sociologia d’antan. E non è detto che sia una bella medaglia da appuntarsi al petto.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.