Papa Francesco (foto LaPresse)

La mossa del Papa che non dovrebbe dispiacere troppo ai tradizionalisti

Matteo Matzuzzi

Soppressa la pontificia commissione Ecclesia Dei. Non è detto che sia una brutta notizia

Roma. Ha scritto John Allen, vaticanista americano profondo conoscitore delle questioni vaticane, che le notizie sulla morte dei negoziati con il mondo tradizionalista potrebbero essere esagerate. Da più di un mese circolava al di qua e al di là del Tevere l’indiscrezione secondo la quale il Papa, con un motu proprio, avrebbe soppresso la pontificia commissione Ecclesia Dei, istituita il 2 luglio 1988 da Giovanni Paolo II per “facilitare la piena comunione ecclesiale” di quei cattolici “che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina”.

 

Due giorni prima, mons. Marcel Lefebvre, fondatore della Fraternità San Pio X aveva ordinato quattro vescovi, subito incorsi “nella grave pena della scomunica prevista dalla disciplina ecclesiastica” al pari del consacrante. In trent’anni di servizio, Ecclesia Dei aveva allargato le competenze, soprattutto in seguito al motu proprio Summorum pontificum di Benedetto XVI con il quale si consentiva la celebrazione liturgica con il messale del 1962 promulgato da Giovanni XXIII prima del Concilio. La commissione era diventata la sede d’ultima istanza alla quale potevano appellarsi i fedeli che si vedevano non esaudita dal proprio vescovo – ce ne sono parecchi ancora in giro, a proposito di pastori che si ribellano al Papa, come ben sa anche il cardinale Walter Kasper, che in un’intervista della scorsa settimana si è detto allibito per le opposizioni al Pontefice regnante – la richiesta di una celebrazione secondo la forma extraordinaria.

 

La soppressione potrebbe quindi apparire come una chiusura da parte del Vaticano alle istanze della composita galassia dei cosiddetti “tradizionalisti” e un freno rispetto al dialogo con i lefebvriani, soprattutto ora che la nuova governance guidata da don Davide Pagliarani appare meno propensa a venire incontro alle richieste di Roma (sempre ammesso che il dialogante Bernard Fellay lo fosse, considerati i tanti no dati a Benedetto XVI che pure aveva cercato di favorire in ogni modo la riconciliazione, fino alla remissione delle scomuniche). In realtà, con la soppressione di un organismo istituito in risposta a una situazione eccezionale, il messaggio del Vaticano è che si può continuare a trattare in un regime di ordinarietà: le competenze di Ecclesia Dei saranno affidate alla congregazione per la Dottrina della fede, all’interno della quale sarà creata un’apposita sezione. Una decisione che dice anche altro, e cioè che il problema non è tanto nella celebrazione secondo la forma extraordinaria, bensì meramente dottrinale. Nulla di nuovo: già con Benedetto XVI il negoziato si era incartato su questo punto e lo scorso novembre, dopo un incontro in Vaticano tra don Pagliarani, il cardinale Ladaria Ferrer e mons. Guido Pozzo – ora destinato a occuparsi del budget della Cappella musicale pontificia – era stato proprio un comunicato della Fraternità a spiegare che “il problema di fondo è di natura squisitamente dottrinale” e che “proprio a causa di questa irriducibile divergenza dottrinale tutti i tentativi di elaborare una bozza di dichiarazione dottrinale accettabile per entrambe le parti sono falliti negli ultimi sette anni”. Da qui l’esigenza di “riprendere la discussione teologica”.

 

Peccato che tale discussione, per il Vaticano, fosse conclusa da tempo, se è vero che le bozze dell’accordo che avrebbero trasformato la Fraternità San Pio X in una prelatura direttamente dipendente dalla Santa Sede, sono pronte da tempo. Spetterà ora al cardinale prefetto Ladaria Ferrer, che il dossier lo conosce bene, se non altro perché prima della promozione a guida dell’ex Sant’Uffizio ne era stato segretario dal 2008 al 2017, valutare se vi siano i presupposti per un approfondimento teologico e, in caso positivo, come svilupparlo. C’è poi nel motu proprio una frase che dovrebbe frenare l’impulso di chi, legato alle realtà tradizionaliste, potrebbe essere tentato di leggere nella soppressione dell’Ecclesia Dei la fine di ogni speranza di riconciliazione. In particolare, dove si afferma che “gli istituti e le comunità religiose che celebrano abitualmente nella forma straordinaria hanno trovato oggi una propria stabilità di numero e di vita”. Come a dire, il riconoscimento a determinate condizioni è già un fait accompli.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.