Giovanni Paolo II (foto LaPresse)

Andare oltre il repulisti all'istituto Giovanni Paolo II

Luca Del Pozzo

In gioco c’è il rapporto tra la chiesa e le realtà terrene. Wojtyla l’aveva capito. Lo storico e profetico discorso ai giovani che lo contestavano (sulla morale sessuale) in Olanda. Era il 1985

Le recenti vicende del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del matrimonio e della famiglia, con l’approvazione dei nuovi statuti e del nuovo Ordinamento degli studi a seguito della quale alcuni valenti e stimati docenti sono stati rimossi dai rispettivi incarichi, toccano in realtà una questione che va ben oltre le dinamiche di una riorganizzazione che, come tutte le riorganizzazioni, lascia sempre dietro di sé contenti e scontenti.

 

Qui il punto riguarda primariamente la questione del rapporto tra la chiesa e le realtà terrene: è evidente infatti che da come la chiesa percepisce se stessa e la sua missione nel mondo, discende anche una ben precisa scelta formativa e di indirizzo culturale di seminari, istituti e facoltà teologiche. In tale contesto, può non essere inutile rileggere alcuni passaggi del discorso rivolto da san Giovanni Paolo II ai giovani durante il viaggio in Olanda nel maggio del 1985. L’importanza, oltreché la straordinaria bellezza delle parole pronunciate da Wojtyla in quell’occasione, risiede non tanto e non solo in ciò che il Papa disse, quanto piuttosto nella scelta di una modalità di dialogo con i giovani (e non solo) distante anni luce da un certo modo di intendere oggi il dialogo e più in generale la questione da cui siamo partiti.

 

Tra l’altro, vale la pena ricordare che quello fu un anno molto particolare nel pontificato di Wojtyla, perché risale al 1985 il lancio di quello che sarà il suo vero (e unico, per certi aspetti) programma di governo, ossia la nuova evangelizzazione; ma risale al 1985 anche l’istituzione – e come non scorgere un legame tra i due fatti? – della Giornata mondiale della gioventù, a riprova di quanto il tema giovani fosse centrale nella sua agenda pastorale. Il viaggio in Olanda non fu affatto facile, con contestazioni e polemiche molto dure anche da parte degli stessi giovani, aventi per oggetto in particolare la morale sessuale.

 

Ma proprio perché li amava profondamente, Giovanni Paolo II scelse di instaurare con essi un dialogo, appunto, serio, senza sconti, e anzi rifuggendo la “tentazione di Aronne”, la tentazione cioè di giocare al ribasso dando al popolo ciò che il popolo chiede (che invece è quanto sembra accadere oggi in ampi settori ecclesiali, in primis a causa di una discutibile teologia dell’incarnazione e di una altrettanto discutibile lettura della realtà come di un qualcosa di oltremodo complesso, di problematico, di sempre cangiante e mutevole che in quanto tale sempre necessita di porre le questioni nel loro contesto. Che è un po’ come dire, volendo estremizzare, che quello che ha detto Gesù forse andava bene allora, in e per quel contesto, oggi meno. Il che è ovviamente un’assurdità. Al contrario, e con buona pace di certa narrativa, alla luce della fede tutto è chiaro, limpido, cristallino, essendo sempre lo stesso il cuore dell’uomo da cui – parola di Gesù – nasce ogni male). Non solo dunque san Giovanni Paolo II non si sottrasse, ma se possibile rilanciò. Con un discorso che resterà una pietra miliare nel suo lunghissimo pontificato, e che riletto ora dà la misura di come, a distanza di pochi decenni, il modo di parlare della chiesa sia profondamente cambiato nella misura in cui oggi anziché elevare le persone alla statura del Vangelo si tende ad abbassare l’asticella del Vangelo alla statura della fede delle persone. Con tutto ciò che ne consegue.

 

Ma sentiamo cosa (e come) disse Wojtyla ai giovani olandesi: “Mi avete fatto sapere che voi considerate spesso la chiesa come un’istituzione che non fa che promulgare regolamenti e leggi. Voi pensate che essa mette molti parapetti nei diversi campi: la sessualità, la struttura ecclesiastica, il posto della donna in seno alla chiesa. E la conclusione a cui giungete è che esiste un profondo iato tra la gioia che promana dalla parola di Cristo e il senso di oppressione che suscita in voi la rigidità della chiesa. Cari amici e amiche, consentitemi di essere molto franco con voi. Io so che parlate in perfetta buona fede. Ma siete proprio sicuri che l’idea che vi fate di Cristo corrisponda pienamente alla realtà della sua persona? Il Vangelo, in verità, ci presenta un Cristo molto esigente, che invita alla radicale conversione del cuore (cf. Mc 1, 5), al distacco dai beni della terra (cf. Mt 6, 19‐21), al perdono delle offese (cf. Mt 6, 14‐15), all’amore per i nemici (cf. Mt 5, 44), alla sopportazione paziente dei soprusi (cf. Mt 5, 39-40), e perfino al sacrificio della propria vita per amore del prossimo (cf. Gv 15, 13). In particolare, per quanto concerne la sfera sessuale, è nota la ferma posizione da lui presa in difesa dell’indissolubilità del matrimonio (cf. Mt 19, 3-9) e la condanna pronunciata anche nei confronti del semplice adulterio del cuore (cf. Mt 5, 27-28). E come non restare impressionati di fronte al precetto di “cavarsi l’occhio” o di “tagliarsi la mano” nel caso che tali membra siano occasione di “scandalo” (cf. Mt 5, 29-30)? Avendo questi precisi riferimenti evangelici, è realistico immaginare un Cristo “permissivo” nel campo della vita matrimoniale, in fatto di aborto, di rapporti sessuali prematrimoniali, extra matrimoniali o omosessuali? Certo, permissiva non è stata la comunità cristiana primitiva, ammaestrata da coloro che avevano conosciuto personalmente il Cristo. Basti qui rimandare ai numerosi passi delle lettere paoline che toccano questa materia (cf. Rm 1, 26 ss; 1 Cor 6, 9; Gal 5, 19).

 

Le parole dell’apostolo non mancano certo di chiarezza e di rigore. E sono parole ispirate dall’alto. Esse restano normative per la chiesa di ogni tempo. Alla luce del Vangelo essa insegna che ciascun uomo ha diritto al rispetto e all’amore. L’uomo conta! Nel suo insegnamento la chiesa non pronuncia mai un giudizio sulle persone concrete. Ma a livello dei principi, essa deve distinguere il bene dal male. Il permissivismo non rende gli uomini felici. Ugualmente la società dei consumi non porta la gioia del cuore. L’essere umano realizza se stesso solo nella misura in cui sa accettare le esigenze che gli provengono dalla sua dignità di essere creato a “immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1, 27). Pertanto, se oggi la chiesa dice delle cose che non piacciono, è perché essa sente l’obbligo di farlo. Essa lo fa per dovere di lealtà. Sarebbe in realtà molto più facile tenersi sulle generalità. Ma talvolta essa sente di dovere, in armonia con il Vangelo di Gesù Cristo, mantenere gli ideali nella loro massima apertura, anche a rischio di dover sfidare le opinioni correnti”. Non credo servano ulteriori commenti. Così parlano i pastori che profumano di Cristo.