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Le critiche al Papa da sinistra aprono un fronte inedito nella Chiesa

Matteo Matzuzzi

Altro che ostia ai divorziati risposati. La sfida dei novatori è intervenire “dove Cristo ha taciuto”. Il caso del professor Andrea Grillo

Roma. “Se dove Gesù ha parlato abbiamo trovato la libertà del nuovo, perché mai non dovremmo dove ha taciuto?”, s’è chiesto il professor Andrea Grillo, teologo d’avanguardia convinto che la chiesa non sia indietro di duecento anni come diceva il cardinale Carlo Maria Martini, ma almeno di quattro-cinquecento. A Grillo non è andata giù la chiusura di Francesco sul fronte delle diaconesse, tema che valutato da una commissione ad hoc è rimasto sospeso, tra i pareri opposti degli specialisti coinvolti. Bisogna studiare ancora, ha detto con scarso entusiasmo il Papa conversando in alta quota con i giornalisti. Ma Grillo tocca il punto-chiave, che è quello di “stabilire quale sia il limite della Rivelazione. Il silenzio non è un limite invalicabile, se non per chi non ha coraggio”.

 

Il Papa, come si muove, rischia di cadere dalla corda sospesa sul fiume dalle acque parecchio agitate. Predica l’uscita della chiesa ma constata che i ritmi della curia romana non sono quelli da lui sperati. E che le resistenze sono ovunque, a destra come a sinistra. Con l’America che pare sempre più un corpo separato, dilaniata tra i nostalgici della culture war e i puristi bergogliani che vogliono la rivincita, senza dimenticare i sommovimenti cinesi seguiti all’Accordo segreto con i maggiorenti comunisti. Ma è sulla morale, più che sulla politica tout court, che si gioca la partita. Non basta più spiegare un no alle “aperture” parandosi dietro il Verbum domini, cioè quel che Cristo ha detto. Perché appena Francesco lo fa, calmando involontariamente quelle frotte iperconservatrici ai limiti del sedevacantismo – quelle cioè che vedevano in Benedetto XVI un Papa del Concilio e tanto già bastava per infilarlo nel catalogo dei progressisti – ecco che dall’altra parte si alza il vento: sì, va bene quel che Gesù ha detto. Ma perché non intervenire laddove Gesù non ha detto nulla? Riempire insomma il “vuoto”. Se non lo si fa, si mostra poco coraggio.

   

È un po’ il destino toccato mezzo secolo fa a Paolo VI, che si ritrovò stretto tra chi gli imputava poco coraggio nel farsi trascinare dal vento dello Spirito e chi lo accusava di aver cambiato tutto, la messa, la morale, la dottrina, d’aver perfino venduto la tiara. Francesco non ha un concilio da condurre in porto, ma i propositi rivoluzionari sbandierati all’inizio del pontificato (non da lui, ma dalla corte che si forma attorno a ogni sovrano) avevano allettato chi non attendeva altro. E l’attesa rivoluzione – termine che a Bergoglio non piace, l’ha detto più volte – si è trasformata in un maquillage della curia già bollato come un disastro perfino da un liberal di razza come l’ex direttore di America magazine, il gesuita Thomas Reese. La comunione ai divorziati risposati è stata sì concessa, ma non nelle forme che i novatori più agguerriti auspicavano.

  

Tant’è che da quattro anni ci s’accapiglia sull’interpretazione di una nota a piè di pagina contenuta in Amoris laetitia, con la battaglia che non accenna a diminuire d’intensità. Il Papa ha chiuso i portoni alla possibilità di ordinare le donne, rifacendosi addirittura a Karol Wojtyla – “Sull’ordinazione di donne nella chiesa cattolica, l’ultima parola chiara è stata data da san Giovanni Paolo II e questa rimane”, ha detto Francesco. Tanto si tornerà alla carica in occasione del Sinodo prossimo venturo sull’Amazzonia, con i vescovi tedeschi già pronti a presentare l’elenco delle richieste e il cardinale Cláudio Hummes che sostiene la necessità di rivedere la forma del ministero ordinato. Che poi, ha osservato il professor Grillo, “che il Signore non abbia voluto solo perché ha taciuto è una conclusione del tutto discutibile” e di certo “non è un peccato interpretare il silenzio non come un no ma come un sì”. E la vecchia prudenza della chiesa? “Essere prudenti non significa sempre la stessa cosa”, però, osserva ancora il teologo: “Quando si guida, la prudenza vuole che talora si usi il freno, talvolta l’acceleratore. Una prudenza identificata soltanto come il ‘primato del freno’ è un luogo comune della chiesa in difesa, che non esce, che si chiude nei suoi muri tranquillizzanti”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.