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“I danni del memoriale Viganò sono enormi, ma il Papa ne uscirà più forte”. Parla Austen Ivereigh

Matteo Matzuzzi

“Il Papa sta minando la gerarchia di vescovi voluta da Wojtyla”. Intervista al biografo di Francesco: “Col suo silenzio il Pontefice ha smascherato i cospiratori”

Roma. “Silenzio e preghiera per le persone che cercano soltanto la scandalo”, una “muta di cani selvaggi” davanti alla quale Gesù rimase in silenzio. Ecco la risposta del Papa al memoriale di mons. Carlo Maria Viganò diffuso ormai una settimana fa. Risposta implicita ma chiara, quella data dal Papa all’alba di Santa Marta, ieri mattina. “La decisione di Francesco di rimanere in silenzio di fronte al J’accuse di Viganò è un modo astuto per permettere agli attori di questa insurrezione di essere smascherati, sia in Italia sia negli Stati Uniti”, dice al Foglio Austen Ivereigh, biografo di Jorge Mario Bergoglio. “Ora sappiamo chi sono, cosa pensano, come agiscono e quale è stato il loro gioco. Negli Stati Uniti, una manciata di vescovi si è affrettata a dichiarare credibile Viganò, senza dire una sola parola a favore del Papa. Questi non sono conservatori nel senso classico della parola, ma tradizionalisti militanti convinti che Francesco sia un eretico, sono determinati a farlo cadere a ogni costo”. Ivereigh è convinto che il “comunicato” dell’ex nunzio negli Stati Uniti sia un falso e che non vi siano “mai state sanzioni significative o pubbliche imposte da Benedetto XVI al cardinale Theodore McCarrick”. Quella di Viganò, insomma, “è diffamazione”. I danni che il documento ha fatto, però, sono enormi: “Si è cercato di deviare la rabbia popolare sull’insabbiamento da parte del Papa, costringendolo alle dimissioni. E dato che la gente era incline a credere all’insabbiamento è stata portata a ritenere valide le accuse. La conseguenza è che il popolo di Dio è stato istigato a rivoltarsi contro il suo Papa da uomini potenti che hanno seminato divisione e confusione. E’ quello che fanno i dèmoni. Ma tutto è stato fatto in modo confuso e alla fine queste ‘rivelazioni’ serviranno alla causa di conversione pastorale. Ogni crisi – aggiunge il biografo di Bergoglio – indebolisce gli avversari di Francesco e rafforza il suo piano di riforme”.

 

Cile e dintorni

Obiezione: l’anno per il Papa non è stato facile, ha in qualche modo dovuto salire al suo Calvario, tra le note vicende cilene, i rapporti della Pennsylvania, la ferita australiana che stenta a rimarginarsi. “A Francesco piace citare un apocrifo attribuito a Don Chisciotte che dice ‘ladran los perros, Sancho, señal de que avanzamos’ (i cani latrano, Sancho, segno che stiamo avanzando, ndr), dice Ivereigh: “La resistenza è la prova che la riforma sta mordendo e il Cile ne è l’esempio più drammatico. Qui si è passati nel giro di pochi mesi da una gerarchia episcopale prima arroccata in un arrogante diniego e poi assalita quotidianamente dalla polizia. Il tutto come conseguenza dell’intervento del Papa. Penso – aggiunge il nostro interlocutore – che la crisi degli abusi sessuali sia un dono che lo Spirito Santo ci sta dando. La dura prova del fallimento istituzionale che c’è stato ci aiuta a mettere Cristo, e non l’istituzione, al centro. Come nella nostre vite, i grandi fallimenti sono anche opportunità di conversione”. Seconda obiezione: Thomas Reese, gesuita e già direttore di America, non proprio il prototipo del perfetto tradizionalista, ha scritto che il silenzio del Papa, pur evangelico quanto si vuole, non basta. La mole di accuse, peraltro avanzate da un arcivescovo, non da un blogger con molto tempo libero, è talmente ampia che servirebbe qualcosa di più che un no comment. “Di solito concordo con Reese, ma non in questo caso”, risponde Ivereigh.

 


Austen Ivereigh (foto Imagoeconomica)


 

“Ho scritto un articolo basato su uno scritto di Jorge Mario Bergoglio del 1990, ‘Silencio y Palabra’, che spiega esattamente perché il Papa è rimasto in silenzio”, spiega Austen Ivereigh. “Non è il silenzio di chi vuole evadere la domanda, non è il silenzio della colpa o dello stallo, ma è il silenzio che costringe a uscire allo scoperto chi è rimasto nascosto. Rimanendo in silenzio, Francesco non solo è rimasto indenne dalle sparate dell’accusa e della contro-accusa, ma ha conservato il suo ruolo di responsabile della crescita spirituale della chiesa e garante della sua unità. E’ molto difficile da fare quando sei tu stesso l’oggetto dell’accusa, ma non c’è nulla di nuovo: negli anni Ottanta e Novanta non ha mai voluto difendersi dall’accusa di essere stato complice della dittatura militare argentina. Il tempo gli ha dato ragione, perché la verità vince quando le dai tempo e spazio. Proprio questo è ciò che ha fatto il Papa quando ha esortato i giornalisti, in aereo, a indagare sulle affermazioni di Viganò. Per me – dice Ivereigh – è stato un momento straordinario nella storia del papato e dei media, e potrebbe dare l’idea di un modello che sarà adottato in futuro”.

 

Il problema è che dall’altra parte dell’Oceano la faccenda viene presa sul serio, e ogni giorno che passa ci sono vescovi che sembrano ammiccare più all’ex nunzio che schierarsi dalla parte del Papa. Non rischia di essere sottovalutato il “problema americano” di Francesco? “La settimana trascorsa dalla pubblicazione della lettera di Viganò ha evidenziato una divisione molto netta tra i vescovi degli Stati Uniti, che qualcuno ha paragonato a una guerra civile, altri a uno scisma. Io però non penso che nessuna di queste due metafore funzioni: i vescovi che hanno dato l’endorsement a Viganò non vogliono separarsi dalla chiesa, ma vogliono purificarla da ciò che considerano un cancro, e cioè l’omosessualità e le tesi liberal. Il punto non è che i vescovi siano in guerra l’uno con l’altro, anche perché molti di loro stanno affrontando la questione in modi diversi. Per molti di loro, poi, il papato a malapena esiste. Una delle cose che il documento di Viganò sottolinea bene è l’estremo turbamento che lui e altri come lui sentono per la nomina di vescovi pastorali nello stile di Francesco anziché di guerrieri culturali, i cultural warriors. Sentono che Bergoglio sta minando la gerarchia costruita con tanta cura sotto Giovanni Paolo II”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.