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L'11 settembre della Chiesa

Georg Gänswein

“Molti credono che non potrà più riprendersi dalla catastrofe. La sua crisi è una crisi del clero, e nessun altro a Roma lo sa quanto il Papa”. Il J’accuse di mons. Gänswein

[Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento pronunciato da mons. Georg Gänswein, prefetto della Casa pontificia, in occasione della presentazione del volume “L’opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano”. L’evento, organizzato dalla Fondazione De Gasperi, si è tenuto ieri alla Camera dei deputati].

 


 

Ringrazio cordialmente per l’invito che ho accettato volentieri, a presentare il volume di Rod Dreher che viene dall’America e del quale avevo già sentito molto parlare. Benedetto da Norcia, il padre del monachesimo al quale il libro deve il suo titolo programmatico, mi ha molto stimolato a venire qui oggi. Ma mi ha anche molto toccato e commosso la data in cui ci incontriamo con il valoroso autore qui a Roma.

 

Perché oggi è l’11 settembre che in America, dall’autunno del 2001 in poi, viene chiamato solo e semplicemente “9/11”, per ricordare quella sciagura apocalittica nella quale allora membri dell’organizzazione terroristica al Qaida, attaccarono gli Stati Uniti d’America a New York e a Washington di fronte agli occhi del mondo intero, utilizzando come granate due aerei di linea dirottati in volo pieni di passeggeri. Quanto più, nel turbine di notizie delle ultime settimane, mi curvavo sul libro di Rod Dreher, tanto più – a seguito della pubblicazione del rapporto del Grand Jury della Pennsylvania – in questo nostro incontro non potevo non scorgere un vero e proprio atto della Divina Provvidenza: oggi, infatti, anche la Chiesa cattolica guarda piena di sconcerto al proprio “9/11”, al proprio 11 settembre, anche se questa catastrofe non è purtroppo associata a un’unica data, quanto a tanti giorni e anni, e a innumerevoli vittime.

Con riguardo all’opera di Dreher, il Papa emerito rimanderebbe al discorso che tenne al Collège des Bernardins di Parigi

 

Vi prego di non fraintendermi: non intendo confrontare né le vittime né i numeri degli abusi nell’ambito della Chiesa cattolica con le complessive 2.996 persone innocenti che l’11 settembre persero la vita a seguito degli attentati terroristici al World Trade Center e al Pentagono. Nessuno (fino a ora) ha attaccato la Chiesa di Cristo con aerei di linea pieni di passeggeri. La Basilica di San Pietro è in piedi e così anche le cattedrali in Francia, in Germania o in Italia che continuano a rappresentare l’emblema di molte città del mondo occidentale, da Firenze a Chartres, passando per Colonia e Monaco di Baviera.

 

E tuttavia, le notizie provenienti dall’America che ultimamente ci hanno informato di quante anime sono state ferite irrimediabilmente e mortalmente da sacerdoti della Chiesa cattolica, ci trasmettono un messaggio ancor più terribile di quanto avrebbe potuto essere la notizia dell’improvviso crollo di tutte le chiese della Pennsylvania, insieme alla Basilica del Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione a Washington.

 

Dicendo questo, ricordo come se fosse ieri quando il 16 aprile 2008, accompagnando Papa Benedetto XVI proprio in quel Santuario Nazionale della Chiesa cattolica negli Stati Uniti d’America, egli in modo toccante cercò di scuotere i vescovi convenuti da tutti gli Stati Uniti: parlava chino per la “profonda vergogna” causata “dall’abuso sessuale dei minori da parte di sacerdoti” e “dell’enorme dolore che le vostre comunità hanno sofferto quando uomini di Chiesa hanno tradito i loro obblighi e compiti sacerdotali con un simile comportamento gravemente immorale”.

 

“Il lamento di Benedetto XVI non riuscì a contenere il male, e nemmeno le assicurazioni formali e gli impegni a parole di gran parte della gerarchia

Ma evidentemente invano, come vediamo oggi. Il lamento del Santo Padre non riuscì a contenere il male, e nemmeno le assicurazioni formali e gli impegni a parole di una grande parte della gerarchia. E ora Rod Dreher è qui fra noi e inizia il suo libro con queste parole: “Nessun vide arrivare l’alluvione, un autentico diluvio universale”. Nei suoi ringraziamenti, egli esprime particolare gratitudine a Benedetto XVI. E a me sembra che abbia scritto ampie parti del libro quasi in un dialogo silenzioso con il Papa emerito che tace, rifacendosi alla sua forza profetico-analitica, come ad esempio quando scrive: “Nel 2012 l’allora Pontefice disse che la crisi spirituale che sta colpendo l’Occidente è la più grave dalla caduta dell’Impero Romano, occorsa verso la fine del V secolo. La luce del cristianesimo sta spegnendosi in tutto l’occidente”.

  

Perciò vi prego di permettere di seguito anche a me di accompagnare la presentazione dell’“Opzione Benedetto” di Rod Dreher con parole prese dalla bocca di Papa Benedetto XVI, pronunciate durante il suo ministero, che per me sono rimaste indimenticabili e che nel corso della lettura del libro mi sono via via ritornate in mente: ad esempio quelle dell’11 maggio 2010, quando durante il volo papale verso Fatima egli confidò ai giornalisti:

 

“Il Signore ci ha detto che la Chiesa sarebbe stata sempre sofferente, in modi diversi, fino alla fine del mondo. [...] Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire (in questo terzo segreto del messaggio di Fatima), vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa”.

  

In quel momento egli era Papa già da cinque anni. E più di cinque anni prima – il 25 marzo 2005 – nel corso della Via Crucis al Colosseo, di fronte a Giovanni Paolo II morente, nella meditazione della nona stazione, il cardinale Ratzinger aveva già trovato le seguenti parole: “Che cosa può dirci la terza caduta di Gesù sotto il peso della croce? Forse ci fa pensare alla caduta dell’uomo in generale, all’allontanamento di molti da Cristo, alla deriva verso un secolarismo senza Dio. Ma non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa?” (…)

 

In precedenza, Giovanni Paolo II ci aveva insegnato che il vero e compiuto ecumenismo è l’ecumenismo dei martiri, per il quale nelle nostre angustie possiamo invocare santa Edith Stein, accanto a Dietrich Bonhoeffer, quali nostri intercessori in Cielo. Ma, come nel frattempo sappiamo, esiste anche un ecumenismo delle difficoltà e della mondanizzazione, e un ecumenismo dell’incredulità e della comune fuga da Dio e dalla Chiesa che attraversa tutte le confessioni. E un ecumenismo del generale oscuramento di Dio. Per questo quello che oggi viviamo è solo il crinale di un cambiamento d’epoca che Dreher profeticamente già un anno fa aveva presentato in America.

 

Giovanni Paolo II ci insegnò che il vero ecumenismo è quello dei martiri. Ma esiste anche quello del generale oscuramento di Dio

Aveva visto arrivare la grande alluvione! E tuttavia egli è anche fermo sul fatto che eclissi di Dio non significa affatto che Dio non c’è più, ma che molti non riconoscono più Dio perché di fronte al Signore si sono frapposte delle ombre che lo oscurano. Oggi sono le ombre dei peccati, dei misfatti e dei delitti dall’interno della Chiesa a oscurare a molti la vista della sua luminosa presenza. Quella Chiesa popolare nel cui seno ancora noi stessi nascemmo e che così come si ebbe in Europa non ci fu in America, nell’avanzare di questo processo di oscuramento è morta da tempo. Il tono vi sembra eccessivamente drammatico? (…)

 

Ultimamente, però, ci sono stati giorni in cui mi sono sentito come riportato indietro ai giorni della mia fanciullezza – nella fucina di mio padre nella Foresta nera, al suono dei colpi di martello sull’incudine che sembravano non finire mai, e tuttavia questa volta senza mio padre, delle cui mani sicure mi fidavo come di quelle di Dio. In questa sensazione evidentemente non sono solo. In maggio, infatti, anche Willem Jacobus Eijk, cardinale arcivescovo di Utrecht, ha ammesso che, guardando all’attuale crisi, pensa alla “prova finale che dovrà attraversare la Chiesa” prima della venuta di Cristo – descritta dal paragrafo 675 del Catechismo della Chiesa cattolica – e che “scuoterà la fede di molti credenti”. “La persecuzione – continua il Catechismo – che accompagna il pellegrinaggio della Chiesa sulla terra svelerà il ‘mistero di iniquità’.”

 

Con questo mysterium iniquitatis Rod Dreher ha la familiarità di un’esorcista, come ha dimostrato con le sue ricostruzioni degli ultimi mesi, con le quali anch’egli ha favorito – forse come nessun altro giornalista più di lui – la rivelazione dello scandalo dell’ex arcivescovo di Newark e Washington. E tuttavia Dreher non è un giornalista investigativo. E nemmeno un visionario, ma un sobrio analista che da tempo segue in modo vigile e critico la condizione della Chiesa e del mondo, ma nonostante questo mantenendo comunque sul mondo lo sguardo amorevole di un bambino.

 

Per questo Dreher non presenta un romanzo apocalittico come il famoso “Signore del mondo” con il quale nel 1906 il presbitero inglese Robert Hugh Benson scosse il mondo anglosassone. Il libro di Dreher, invece, assomiglia più a delle istruzioni pratiche e praticabili per la costruzione di un’arca: perché egli sa che non c’è alcuna diga con la quale si possa ancora arginare la grande alluvione; un’alluvione che non solo da ieri è in procinto di inondare l’antico occidente cristiano al quale per lui è ovvio che appartiene anche l’America. Da qui emerge subito con chiarezza una triplice differenza fra Dreher e Benson: in primo luogo, da americano autentico qual’ è, Dreher è più pratico dell’alquanto bizzarro britannico di Cambridge nell’epoca precedente alla Prima guerra mondiale. Inoltre, da cittadino della Louisiana, Dreher è per così dire a prova di uragano.

 

E infine egli non è affatto un religioso, ma un laico che cerca di conquistare anime al Regno di Dio che Gesù Cristo ha annunciato per noi non sulla base di un incarico ingiuntogli da altri, quanto sulle ali di un entusiasmo e di una volontà assolutamente personali. In questo senso è un uomo che corrisponde completamente al desiderio e al gusto di Papa Francesco, perché nessun altro a Roma quanto lui sa che la crisi della Chiesa, nel suo nocciolo, è una crisi del clero. E che dunque è scoccata l’ora dei laici forti e decisi, soprattutto nei nuovi mezzi di comunicazione cattolici indipendenti, esattamente come incarnati da Rod Dreher. (…)

 

Negli ultimi giorni spesso all’interno della Chiesa si è sentito ripetere il concetto di terremoto associandolo a quel crollo per il quale, come affermo, ora anche la Chiesa ha sperimentato il suo “9/11”, il suo 11 settembre. Vorrei confidarvi che anche Benedetto XVI dal momento della sua rinuncia si concepisce come un vecchio monaco che, dopo il 28 febbraio 2013, sente come suo dovere dedicarsi soprattutto alla preghiera per la Madre Chiesa, per il suo successore Francesco e per il Ministero petrino istituito da Cristo stesso.

 

Perciò, con riguardo all’opera di Dreher, quel vecchio monaco dal monastero Mater Ecclesiae dietro la Basilica di San Pietro rimanderebbe a un discorso che l’allora Papa in carica tenne al Collège des Bernardins di Parigi il 12 settembre 2008 – cioè esattamente domani di dieci anni fa – di fronte alla élite intellettuale di Francia. Per queste ragioni vorrei presentarvi brevemente questo discorso citandone alcuni passi.

 

Nel grande sconvolgimento culturale prodotto dalla migrazione dei popoli e dai nuovi ordini statali che stavano formandosi, i monasteri erano i luoghi in cui sopravvivevano i tesori della vecchia cultura e dove, in riferimento ad essi, veniva lentamente formata una nuova cultura, disse allora Benedetto XVI, e si chiese: “Ma come avveniva questo? Quale era la motivazione delle persone che in questi luoghi si riunivano? Che intenzioni avevano? Come hanno vissuto? Innanzitutto e per prima cosa si deve dire, con molto realismo, che non era loro intenzione creare una cultura e nemmeno conservare una cultura del passato. La loro motivazione era molto più elementare. Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio.

 

Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile. Si dice che erano orientati in modo ‘escatologico’. Ma ciò non è da intendere in senso cronologico, come se guardassero verso la fine del mondo o verso la propria morte, ma in un senso esistenziale: dietro le cose provvisorie cercavano il definitivo. 

 

Quaerere Deum, cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda su Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”.

 

Sin qui Benedetto XVI, il 12 settembre 2008, sulla vera “Opzione” di san Benedetto da Norcia. Così che, sul libro di Dreher, non mi resta che da dire questo: non contiene una risposta pronta. In esso non troverete una ricetta infallibile o un passepartout per riaprire tutte quelle porte che finora ci erano accessibili ma che adesso sbattendo si sono di nuovo chiuse. Fra la prima e l’ultima di copertina troverete però un esempio autentico di quello che Papa Benedetto dieci anni fa disse sullo spirito benedettino degli inizi. E’ un vero Quaerere Deum. E’ quella ricerca del vero Dio di Isacco e di Giacobbe che, in Gesù Cristo, ha mostrato il suo volto umano.

 

Nessun altro a Roma quanto Papa Francesco sa che la crisi della Chiesa, nel suo nocciolo, è una crisi del clero

Ora però viviamo nuovamente da decenni – e non solo in Europa, ma su tutta la terra – una migrazione dei popoli che mai più giungerà a una fine, come ha chiaramente riconosciuto Papa Francesco appellandosi con insistenza alla nostra coscienza. Anche questa volta dunque non tutto è diverso rispetto ad allora. Così, se questa volta la Chiesa con l’aiuto di Dio non saprà ancora rinnovarsi, ne andrà di nuovo dell’intero progetto della nostra civiltà. Per molti, tutto porta a credere già oggi che la Chiesa di Gesù Cristo non potrà più riprendersi dalla catastrofe dei suoi peccati che rischia quasi di inghiottirla. E proprio questa è l’ora in cui Rod Dreher da Baton-Rouge in Louisiana presenta il suo libro nei pressi delle tombe degli Apostoli; e, nel mezzo dell’eclissi di Dio che atterrisce in tutto il mondo, viene in mezzo a noi e dice: “La Chiesa non è morta, ma solamente dorme e riposa”.

 

E non soltanto questo: la Chiesa “è giovane” sembra anche dirci, e con quella gioia e quella libertà con le quali lo disse Benedetto XVI nella Messa per l’inizio del ministero petrino il 24 aprile 2005. Ricordando ancora una volta la sofferenza e la morte di san Giovanni Paolo II del quale era stato collaboratore per così tanti anni, rivolgendosi a ognuno di noi in Piazza San Pietro disse: “Proprio nei tristi giorni della malattia e della morte del Papa questo si è manifestato in modo meraviglioso ai nostri occhi: che la Chiesa è viva. E la Chiesa è giovane. Essa porta in sé il futuro del mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noi la via verso il futuro. La Chiesa è viva e noi lo vediamo: noi sperimentiamo la gioia che il Risorto ha promesso ai suoi. La Chiesa è viva – essa è viva, perché Cristo è vivo, perché egli è veramente risorto”. 

 

Non potrà indebolire o distruggere questa verità sull’origine della fondazione della Chiesa universale cattolica per mezzo del Signore risorto e vincitore nemmeno il satanico 11 settembre di essa. Per questo devo ammettere con sincerità che percepisco questo tempo di grande crisi, oggi evidente a tutti, soprattutto come un tempo di grazia; perché alla fine a “farci liberi” non sarà un particolare sforzo qualsiasi, ma la “verità”, come il Signore ci ha assicurato. In questa speranza guardo alle recenti ricostruzioni di Rod Dreher per la “purificazione della memoria” richiestaci da Giovanni Paolo II; e così, grato, ho letto la sua “Opzione Benedetto” come una, per molti versi, fonte di ispirazione meravigliosa. Nelle ultime settimane quasi nient’altro mi ha dato così tanta consolazione.

(Il testo non è stato rivisto dall’autore)