Piercamillo Davigo (foto LaPresse)

I magistrati avvertono: senza il nostro ok la prescrizione non si tocca

Massimo Bordin

Persino l'Anm del manettaro Davigo mette dei paletti alla proposta di riforma del governo

Mentre scriviamo sta per atterrare, di ritorno dalla Cina, lo statista di Pomigliano, ed è annunciato in serata anche il rientro dall’Africa dell’altro vicepremier. A Di Maio e Salvini toccherà subito applicarsi a sbrogliare la complicata matassa creatasi sul decreto Sicurezza e sull’emendamento che blocca la prescrizione. Quest’ultimo pare il compito più difficile ed è quello che tocca a Di Maio. Forse un errore tattico esiziale i Cinque stelle lo hanno commesso nella riunione delle commissioni Giustizia di due sere fa, quando uno di loro ha pensato bene, per rafforzare l’autorevolezza dell’emendamento, di fregiarlo dell’alto patrocinio di Piercamillo Davigo. Il magistrato sarà anche l’idolo di tutti i manettari ma al Csm, dove siede in quasi perfetta solitudine, è visto come il proverbiale cane in chiesa. Le grandi correnti della magistratura associata mantengono nelle commissioni Giustizia antenne sensibilissime che hanno registrato l’affronto. Sbaglierebbe dunque chi leggesse in contrapposizione i comunicati di ieri della Anm e della Unione camere penali, fermandosi alle apparenze. Se gli avvocati usano un linguaggio da Sessantotto minacciando lotta dura senza paura, i magistrati dicono invece sì al taglio della prescrizione ma, attenzione, purché sia dentro una riflessione “complessiva e ponderata” per arrivare “anche, ma non solo” al blocco della prescrizione. Aggiungono infatti altri sei punti, di non poco rilievo, da abbinare al provvedimento. In parole povere i magistrati avvertono il ministro Bonafede che può scordarsi di infilare in un emendamento una riforma del genere senza il loro preventivo assenso che il M5s, replicando un errore già fatto, non ha saputo cercare.

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