LaPresse/Fabio Cimaglia

Perché una assemblea costituente oggi non è una buona idea

Massimo Bordin

Le intenzioni del ministro Calenda sono le migliori ma la sua proposta rischierebbe di concretizzarsi nel modo peggiore

Dopo la sconfitta nel referendum del 4 dicembre è l’unico modo per aprire in maniera ordinata la Terza Repubblica invece di subire la dissoluzione caotica della Seconda. Con questa argomentazione, ieri in una lunga intervista sul Corriere della Sera, il ministro Carlo Calenda ha rimesso in circolazione la proposta di una assemblea costituente, che segnò i primi anni Novanta quando a dissolversi caoticamente fu il sistema dei partiti della Prima Repubblica. Si può anche tornare indietro nel tempo, fino al 1977, quando con un saggio su MondOperaio Giuliano Amato tratteggiò una modifica costituzionale in senso presidenzialista. Fu la Grande Riforma proposta senza successo da Bettino Craxi. Si potrebbe tornare ancora indietro agli anni Cinquanta e poi ritornare avanti alle commissioni bicamerali, quattro, che non approdarono a nulla, e infine a Mario Segni che appunto fra il 1993 e il 1995 lanciò l’idea di una nuova Costituente, che idea rimase. Il rilancio del ministro Calenda ha una logica ma rischia di non fare i conti con la storia. Le assemblee costituenti non nascono a freddo. Quella italiana è venuta dopo vent’anni di dittatura e una guerra persa. La Quinta Repubblica francese ebbe bisogno almeno della guerra di Algeria. “Se ci fossero manifestazioni di massa davanti al Parlamento concluse da un bagno di sangue, allora forse…”, scappò detto una volta a Francesco Cossiga che nell’ultimo periodo del suo settenato si permise molto. Sicuramente le intenzioni del ministro sono le migliori. Al contrario dei tempi che viviamo che paradossalmente offrono qualche chance alla sua proposta che però rischierebbe di concretizzarsi nel modo peggiore.

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