Ecco chi (e come) giudicherà la riforma Renzi del lavoro - di Marco Valerio Lo Prete

Marco Valerio Lo Prete

Il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, presentando la nuova squadra che guiderà l’esecutivo Ue dal prossimo mese fino al 2019, ha usato toni diplomatici per descrivere il “coordinamento” obbligato di Moscovici con i tutor rigoristi. Ha ricordato che Moscovici d’ora in poi si occuperà pure di fisco e dogane. Poi però, nella documentazione ufficiale, ha scritto qualcosa che adesso gli eurocrati del palazzo Charlemagne leggono e rileggono con un pizzico d’apprensione: “Unit ECFIN B3 (Labour Market Reforms) moves from ECFIN to DG Employment, Social Affairs and Inclusion (EMPL)”. Tradotto: la supervisione delle riforme del mercato del lavoro, prima appannaggio della potentissima Dg EcFin, diventa competenza della Commissione per il Lavoro e gli Affari sociali. Per alcuni funzionari che  erano alle dipendenze di Rehn ciò equivale al trasferimento coatto da quello che finora era “the place to be” a Bruxelles, anche se la Commissione – contattata dal Foglio – dice di non essere ancora in grado di quantificare il numero di spostamenti. Per il socialista Moscovici, invece, equivale a un depotenziamento non da poco. Gli rimane la sorveglianza dei conti pubblici, seppure da condividere coi vicepresidenti “falchi”, mentre perde due leve importanti della politica economica. Non solo le competenze in materia finanziaria che passano al commissario inglese Jonathan Hill (frutto della trattativa di David Cameron), ma anche la politica del lavoro di cui in futuro si occuperà Marianne Thyssen, conservatrice fiamminga con passaporto belga.

 

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