Matteo Renzi (foto LaPresse)

Mica pochi, maledetti e subito. Se la crescita passa dalla busta paga

Alberto Brambilla

Renzi non ha fatto in tempo ad annichilire i sindacati dei lavoratori e degli imprenditori, col superamento dell’articolo 18, che già rilancia un altro tema divisivo per le parti sociali. Il premier ha annunciato che dal 2015 i lavoratori dipendenti potranno spostare una quota del tfr nella busta paga mensile.

Roma. Matteo Renzi non ha fatto in tempo ad annichilire i sindacati dei lavoratori e degli imprenditori, col superamento dell’articolo 18, che già rilancia un altro tema divisivo per le parti sociali. Il presidente del Consiglio ha annunciato che dall’anno prossimo i lavoratori dipendenti potranno spostare una quota del trattamento di fine rapporto nella busta paga mensile. L’ipotesi in discussione, da inserire nella legge di stabilità, prevederebbe di lasciare al lavoratore la facoltà di riscuotere a fine mese il 50 per cento del tfr versato mensilmente anziché accantonarlo, per lasciarlo in azienda o a fini previdenziali. “Significa – ha detto ieri Renzi a Ballarò – che un altro centinaio di euro al mese per chi guadagna 1.300 euro, che uniti agli 80 euro (sgravio Irpef) inizia a fare una bella dote”. Altre stime sono meno generose, tuttavia la proposta – mediaticamente accattivante – insiste sull’esigenza impellente di reperire risorse per aumentare il potere d’acquisto, con l’ambizione di rianimare i consumi. “Si tratta di dare liquidità ai lavoratori italiani che, per altre ragioni, hanno stipendi inferiori ai big europei in una fase evidentemente difficile nella quale tendono a tesaurizzare”, dice Riccardo Puglisi, economista dell’Università di Pavia e membro di Italia Unica di Corrado Passera, il quale si intesta la paternità della proposta in realtà non nuova e avanzata in passato dall’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti. “Purché – suggerisce Puglisi – il provvedimento sia temporaneo, di carattere emergenziale, e rientri in un disegno complessivo che abbia l’obiettivo finale di ridurre la pressione fiscale sulle piccole e medie imprese”.

 

L’idea avanzata da Renzi in prima battuta sul Sole 24 Ore fa infatti discutere l’universo confindustriale. Su un flusso da 25 miliardi annui da tfr, circa 14 vanno nelle casse delle piccole imprese con meno di 50 dipendenti, secondo Alberto Brambilla, ex sottosegretario al Welfare dal 2001 al 2005. Da Confindustria, Rete Imprese Italia, Confartigianato si paventa il rischio che, senza il contributo dei lavoratori, le imprese più piccole “stremate dalla crisi” ricevano il colpo di grazia in un contesto di stretta creditizia; perciò “stiamo ragionando”, ha detto Renzi, con l’Associazione bancaria italiana affinché le banche usino i prestiti della Banca centrale europea per garantire liquidità alle Pmi. In pochi però ricordano la lunga trafila legale dei 149 dipendenti della Visconti di Modrone per ottenere la restituzione del tfr dall’azienda, fallita nel 2009, tempi non troppo sospetti: forse avrebbero preferito i famosi “pochi, maledetti e subito”. Tuttavia nell’alveo confindustriale un parere dissonante è quello di Marco Tronchetti Provera, membro del Consiglio direttivo e della giunta di Confindustria, e presidente della Pirelli – multinazionale che non risentirebbe del provvedimento. Tronchetti conferma l’esigenza di “garantire il finanziamento alle imprese” ma sottolinea la bontà del provvedimento che “visto nel contesto generale va nella giusta direzione” perché motivato dalla “necessità di stimolare i consumi e gli investimenti”. Il tema divide pure i sindacati: usciti malconci dalla disputa sul reintegro dei lavoratori, tornano a chiedere al premier di “non decidere da solo”.

 

[**Video_box_2**]Sul punto è aperturista la Cisl mentre Susanna Camusso, segretario Cgil, obietta che la maggiore tassazione del salario rispetto al trattamento di fine rapporto andrebbe di fatto a svantaggio dei lavoratori ma, soprattutto, paventa il drenaggio di risorse destinate alla previdenza complementare: di quei 25 miliardi di flusso annui, 5,2 vanno ai fondi pensione che investono il tfr per arricchire, in caso, gli assegni pensionistici dei lavoratori. Ogni categoria ha il suo fondo. Per i metalmeccanici della Fiom di Maurizio Landini, sostenitore del trasferimento del tfr in busta, è il fondo Cometa. C’è, infine, tra gli economisti, chi prevede lo squilibrio dei conti dell’Inps dove affluiscono 6 miliardi annui da tfr, ma riceve stoccate anche da “pensatoi” solitamente critici verso Renzi. E’ il caso de Lavoce.info dove ieri Fabrizio Patriarca, ex ufficio studi Inps, ha scritto che “la proposta è positiva anche sotto il profilo previdenziale perché le promesse pensionistiche future hanno la loro garanzia più forte non nell’ammontare degli accantonamenti attuali, ma nella crescita dell’economia e nel miglioramento dell’occupazione, senza le quali nessuna promessa previdenziale potrà essere mantenuta, finendo così con l’avere una società di ‘ricchi di promesse’ (false) pensionistiche e ‘poveri di lavoro e reddito’”.

 

Di più su questi argomenti:
  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.