La manifestazione della Cgil al Circo Massimo nel 2002

E fu così che sull'art. 18 la Ditta rinnegò il centralismo democratico

Stefano Di Michele

Piccolo non fu, quel mondo, pur se piccolo adesso appare. Antico, però, lo è – lo era. Eroico. Medagliato, plurimedagliato. Omaggiato. “Il lungo fiume rosso”, scriveva l’Unità, quando in tre milioni nelle sue acque si bagnavano e impetuoso scorreva verso l’invaso del Circo Massimo, nel dì festoso del 23 marzo 2002.

Piccolo non fu, quel mondo, pur se piccolo adesso appare. Antico, però, lo è – lo era. Eroico. Medagliato, plurimedagliato. Omaggiato. “Il lungo fiume rosso”, scriveva l’Unità, quando in tre milioni nelle sue acque si bagnavano e impetuoso scorreva verso l’invaso del Circo Massimo, nel dì festoso del 23 marzo 2002. Pure D’Alema firmava cappellini rossi, e aveva (dicono le cronache) “rose rosse sul petto” manco fosse la Montserrat Caballé (mica a caso detta “La Superba”). Persino Rutelli, dall’alta Italia (da Parma, dove peraltro c’era consolante presenza di parmigiano) appositamente tornò. Art. 18 – il Totem, il Manitù, il Serpente Piumato: c’era allora, e c’è oggi. Non ci sono i tre milioni, però. E rose rosse per te né D’Alema ne ha più sul petto tonico, né Renzi ne comprerà stasera per la Camusso.

 

Il ridotto estremo, l’art. 18, la vecchia balera, la rotonda sul mare che periodicamente si fa nostalgia e musica per antichi habitué. Quelli, per cominciare, della Premiata Ditta – da Bersani sempre innalzata, e da Bersani giusto l’altro giorno rispolverata, “ho sempre detto che lavoro per la Ditta” – fornitrice dal secolo scorso della Real Casa “Dignità&Indignazione&Manifestazione”.

 

La Ditta, appunto. Gloriosa. L’avanti Savoia de sinistra che pagine memorabili scrisse. Ma polverosa. La saracinesca a metà, la svendita che alcuni vorrebbero generosa (“sconti fino al 70%!”) – come se una multinazionale potente si fosse ridotta a produrre solo vasetti di marmellate biologiche nei pressi di Rieti. Che da solida presenza si è fatta, poeticamente, più acuta assenza, così che tra i ragazzi del muretto di Renzi c’è chi la riconosce (“Dobbiamo volere bene alla Ditta”, la ministra Boschi) e chi più ereticamente ne contesta la stessa esistenza (“Siamo un partito, non una Ditta o una bocciofila”, Debora Serracchiani).

 

[**Video_box_2**]Consegnati D’Alema alle vigne e Veltroni agli schermi, c’è quel che resta del giorno che fu splendente e che adesso si apposta, mormora e minaccia, in sul finir del giorno (politico) loro. Sergio Cofferati, che su quel lungo fiume rosso volava col suo Bucintoro dorato, da Doge della non serenissima Cgil. E Bersani, appunto – dell’epica della Ditta cantore e detentore, pronto ad animare e guidare le truppe (più truppette, a leggere i mesti giornali) che in nome del santissimo art. 18 all’assalto dello scostumato segretario/premier/leader vanno. E persino l’invocazione della “libertà di voto”, parente strettissima della “libertà di coscienza”, arma finale che in ogni ridotto politico allo stremo viene sempre esibita – che poi, quando la Ditta era veramente a caratura internazionale, la nobiltà stessa della sua esistenza imponeva il centralismo democratico, ora rifiorito sotto il velo di cipria del centralismo carismatico (renziano nel contingente, ma berlusconiano nella sua assoluta originaria formulazione).

 

E nel gran fiorire di “diritti”, di “dignità”, la Bindi che mette in campo i giapponesi (gli ultimi: onestamente mica gran prospettiva), di “lavoratori” sempre cari, di “sciopero” sempre da avviare, di “confronto” sempre da praticare – pur se, dice Renzi, “cascano male”, e due parole due fanno tabula rasa di una cinquantina di convegni/incontri/dibattiti precedenti, e figurarsi la Camusso, che lo paragona alla Thatcher: per la felicità, Matteo la porterebbe a un happy hour – periodicamente ci si riattruppa c/o la Spett.le Stonehenge dell’art. 18: sempre un po’ meno, sempre un po’ più ripetitivi: forse nel giusto, chissà, forse c’è chi ci crede, ma certo la Ditta che fu ragione sociale e insegna al neon ha cambiato. Cuperlo e Fassina, Bersani e Cofferati, col cuore oltre l’ostacolo – e Speranza e Martina e Orfini, ecc. ecc. col cuore davanti all’ostacolo. Ma il lungo fiume rosso ha perso impeto e acqua. Cambiamento climatico, si sa. E pure politico.