(foto LaPresse)

Di cosa parliamo quando parliamo di privacy

Redazione

Dobbiamo tentarle tutte per combattere il virus, ma attenzione agli abusi

Negli ultimi giorni è in corso in Italia un dibattito serrato sull’utilizzo di sistemi di sorveglianza digitale per controllare e, se possibile, contenere i contagi da Covid-19. Questo dibattito ha assunto toni fideistici: benché gli esperti sostengano che una app di sorveglianza non serva contro il virus se non accompagnata da altre tecniche di contenimento del contagio che attualmente in Italia non sono applicate, è cominciata una campagna per proporre una app come una soluzione facile a un problema terribile e complesso. L’utilizzo di sistemi di questo tipo comporta la compressione di alcuni diritti, in particolare quello alla privacy, e questo ha provocato reazioni scomposte, come quella del governatore del Veneto Luca Zaia, che ieri ha proposto la “sospensione delle norme sulla privacy” nel nostro paese. Ora, siamo in guerra contro un nemico invisibile, e in tempi straordinari devono essere prese tutte le misure necessarie. Ma anche in tempi di guerra è importante prepararsi per quando tornerà la pace. E per questo rischia di essere pericoloso considerare la privacy come un elemento accessorio, che non ci riguarda perché “tanto non ho niente da nascondere”, o perché “i miei dati sono già tutti su Facebook”. In un certo senso, privacy è una parola fuorviante, perché ci porta a considerarla come attinente alla sfera della riservatezza, e non alla sfera della libertà alla quale appartiene. Gli stati che non hanno privacy sono i totalitarismi, dove lo stato penetra, appunto, nel privato. E negli stati in cui la sorveglianza è pervasiva sono lesi anche i diritti di movimento, di espressione, di associazione religiosa – si veda per esempio il regime cinese, che usa il suo apparato di controllo per reprimere milioni di fedeli cristiani e musulmani. Questo chiaramente non significa che stiamo andando verso quella strada, e non significa che non dobbiamo tentarle tutte pur di combattere il virus. Ma quando si parla di compressione dei diritti fondamentali bisogna prestare infinita attenzione a ogni singola azione, e bisogna avere un piano credibile e serio per ripristinare appieno quei diritti quando la crisi sarà finita. Per ora l’Italia non lo sta facendo.

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