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La Germania accetta Huawei nel 5G per non trovarsi da sola

Eugenio Cau

Berlino non esclude l’azienda cinese dalla gara per le frequenze e fa uno sgarbo all'America

Milano. La Germania, in maniera ormai definitiva, ha ufficializzato la sua posizione su Huawei e sulle infrastrutture per le reti di quinta generazione, il celebre 5G. Nonostante le pressioni americane, e nonostante la diffidenza delle agenzie d’intelligence, il governo ha deciso di non escludere l’azienda cinese dalle gare per il 5G, come ha detto ieri Jochen Homann, presidente dell’autorità tedesca per le comunicazioni (Bundesnetzagentur) in un’intervista con il Financial Times: “Nessun fornitore, compreso Huawei, dovrebbe essere escluso esplicitamente”. Un po’ in tutta Europa, sembra che gli Stati Uniti stiano perdendo la loro battaglia per il contenimento delle aziende cinesi nelle forniture di tecnologie strategiche – e poche tecnologie sono strategiche quanto il 5G.

 

  

Il punto di vista di Homann è pragmatico: per ora non ci sono prove certe che Huawei abbia commesso violazioni nella sicurezza delle infrastrutture, e l’azienda possiede una gran quantità di brevetti legati a questa tecnologia. Ciò significa che senza Huawei alcuni operatori telefonici si troverebbero nei guai (per esempio Deutsche Telekom, che si avvale dell’aiuto di Huawei e che è stato uno degli stakeholder più contrari al bando dell’azienda cinese) e che forse l’implementazione del 5G potrebbe subire dei rallentamenti. Davanti a queste possibilità, il rischio per la sicurezza presentato da Huawei si riduce, o comunque diventa così remoto che i governi europei pensano: ce ne occuperemo a tempo debito. In Germania sono in corso le aste per le frequenze del 5G (termineranno venerdì) e, come in Italia, il governo ha ottenuto entrate record, che per ora ammontano a 5,2 miliardi di euro. Gli operatori usciranno finanziariamente stremati dalla gara, e non vogliono vedersi ridotta la rosa dei possibili fornitori.

 

C’è anche un’altra variabile, tuttavia, che i governi come quello tedesco stanno tenendo in considerazione: l’altissima volatilità dell’Amministrazione americana. In questo frangente, l’America è particolarmente dura con la Cina, e cerca di coinvolgere gli alleati con metodi anche coercitivi: in una lettera inviata proprio al governo di Berlino, l’ambasciatore tedesco avvertiva il mese scorso che Washington avrebbe ridotto la condivisione dell’intelligence se il 5G in Germania fosse stato affidato anche a Huawei. Ma cosa succederà quando (tra un mese o tra un anno, più probabilmente tra un mese) Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping si troveranno a stringersi la mano dopo aver raggiunto un grande accordo su commercio e sanzioni?

 

Prima che scoppiasse la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, Trump aveva dedicato a Xi molti tweet benevoli mai indirizzati all’Europa. Se il flusso d’amore tra il leader autoritario cinese e il leader americano che ammira l’autoritarismo dovesse riprendere, l’Europa si troverebbe all’improvviso da sola ad affrontare la Cina, potenza notoriamente suscettibile. Perché allora rischiare un bando a un’azienda cinese strategica che porterebbe a un’esposizione estrema, quando non si è sicuri della protezione americana?

 

Le fonti tanto americane quanto cinesi sostengono che ormai un accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina sia vicino. Avrebbe già dovuto essere annunciato all’inizio del mese, quando il vicepremier cinese Liu He ha fatto l’ultima visita a Washington, ma è stato rallentato perché mancavano accordi sulla protezione della proprietà intellettuale e su quali e quanti dazi l’America avrebbe eliminato (Trump ne vuole lasciare il più possibile in piedi come garanzia del fatto che gli accordi saranno rispettati). A inizio aprile, il presidente americano già preannunciava un deal “epico”, “molto completo”, e pregustava un summit ad alto livello. Gli alleati europei forse condividono le preoccupazioni dell’intelligence americana sulla presenza di aziende cinesi nelle infrastrutture strategiche, ma sanno che, se corressero il rischio di colpire Pechino nei suoi interessi vitali, sarebbero i primi a essere abbandonati dall’America.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.