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Così il Regno Unito rischia di allevare il Dragone

Alberto Brambilla

“Il guaio di May con Huawei non è l’addio di Williamson, ma la fiducia tra i servizi occidentali”, ci dice Tugendhat

Roma. C’è una questione di fondamentale rilevanza nazionale nel Regno Unito. Non è la Brexit. Mercoledì il segretario alla Difesa, Gavin Williamson, è stato licenziato dal primo ministro Theresa May perché ritenuto l’autore di una fuga di notizie da una riunione del National Security Council, il comitato governativo che si occupa della sicurezza del Regno Unito, un consesso più serio di una normale riunione di gabinetto dei ministri. Il leak, apparso sul Telegraph il 24 aprile, riguardava la decisione di May di consentire al gruppo cinese di telecomunicazioni Huawei di costruire parte dell’infrastruttura di quinta generazione. E’ stata avviata un’inchiesta. L’ex segretario alla Difesa ha giurato sulla vita dei suoi figli che non è stato lui a divulgare l’informazione, tuttavia May l’ha sostituito con Penny Mordaunt. Che Williamson non fosse amato a Westminster non è un mistero: è stato schernito perché aveva una tarantola come animale domestico sulla sua scrivania, nella sua professione precedente faceva il venditore di caminetti, e nel mezzo dell’avvelenamento di Salisbury fece la gaffe di dire che la Russia “dovrebbe stare zitta e andarsene”. La gogna per Williamson non risolve il problema di fondo: Huawei contribuirà a costruire l’infrastruttura 5G e il primo ministro e il cancelliere dello Scacchiere sembrano ritenerlo un partner utile perché economicamente “conveniente” e “rapido”, contrariamente agli allarmi dei servizi segreti americani. Il presidente della commissione Esteri della Camera dei comuni, il conservatore Tom Tugendhat, in un’intervista al Foglio dice che così “May mette in discussione settant’anni di buoni rapporti con l’intelligence occidentale” perché rischiamo di “allevare il Dragone”. 

         

Williamson era guardingo nei confronti di Huawei. Come lui i critici sostengono che sulla società ha molta influenza il Partito comunista (Huawei smentisce). Avvertono poi di una legge cinese che, benché mai utilizzata, impone alle società cinesi di cooperare con il governo nella raccolta di informazioni se viene richiesto per ragioni di sicurezza nazionale. “La questione – dice al Foglio Tugendhat, un ex tenente colonnello dell’Intelligence Corps – è importante per la democrazia. In occidente siamo abituati a un sistema di comunicazioni libero. E se usiamo apparati Huawei la preoccupazione è anche dei paesi nostri alleati nel Five Eyes”, l’alleanza d’intelligence tra paesi anglofoni Australia, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti. “E’ una questione di affidabilità da parte della comunità di intelligence e riguarda anche i paesi fuori dalla alleanza come l’Italia. Dobbiamo fidarci l’un l’altro”, dice. Il M5s ha avuto un atteggiamento estremamente accondiscendente verso Huawei. A settembre il ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio, e il sindaco di Roma, Virginia Raggi, hanno partecipato a un convegno sulle Tlc organizzato alla Camera offrendo una vetrina istituzionale al ceo Thomas Miao per proporre la sua visione sulla rete di nuova generazione che servirà per connessioni telefoniche, apparati domestici, mobilità e altro. La società cinese è sponsor del gran premio della Formula E nella Capitale e per la sorveglianza nel perimetro della gara il sindaco aveva annunciato l’uso di telecamere made by Huawei, che è il costruttore delle reti sperimentali 5G nelle città di Milano, Bari e Matera. Il culmine è stato la firma del Memorandum d’intesa sulla Via della Seta a marzo: l’Italia è stato il primo paese del G7 a dare dignità politica internazionale all’accordo geostrategico cinese, includendo le telecomunicazioni tra i settori di collaborazione. La settimana scorsa Bloomberg ha documentato vulnerabilità, risalenti al 2009-2011, della rete fissa di Vodafone in Italia per cui Huawei aveva inserito un sistema software di accesso remoto con cui avrebbe potuto raccogliere informazioni. Huawei e Vodafone smentiscono. “Il costo dell’infrastruttura e la rapidità di costruzione non possono essere gli unici criteri di valutazione – dice Tugendhat –, chi conosce l’architettura saprà cosa farne e avrà dei vantaggi. A differenza del 4G nel 5G non c’è la possibilità di fare una distinzione la parte ‘core’ (nevralgica) della infrastruttura e la parte ‘non-core’ (sussidiaria): non si può permettere, come fatto in passato, di affidare l’infrastruttura a una società collegata al Partito comunista cinese”.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.