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Chi offre un'alternativa alla Brexit? Non il Labour. Ci si vede alle europee

Paola Peduzzi

Alle municipali inglesi vanno male sia i Tory sia i laburisti. Il 23 maggio assomiglierà a un secondo referendum

Milano. Gli inglesi votano ma non riescono a risolversi sulla Brexit, e l’unica cosa che si riesce a dire con certezza, anche dopo le elezioni municipali di giovedì, è che il Regno Unito è ancora spaccato sulla questione europea e si fida sempre meno sia dei Tory al governo – questo era prevedibile – sia del Labour – questo era meno previsto, e un po’ più grave. Se il primo partito all’opposizione esce da un voto – per quanto locale – affaticato come se fosse un partito di governo, vuol dire che la crisi è molto profonda, e va oltre la Brexit: peggio di un esecutivo che si è perso in calcoli sbagliati e politiche inefficaci c’è soltanto un’opposizione che non offre alternative.

   

La sintesi di questo fallimento collettivo è nelle parole dei due leader, la premier Theresa May e il laburista Jeremy Corbyn. La prima, dopo aver perso 759 councillor (paragonabili agli assessori in Italia), ha detto: “Dobbiamo portare a termine la Brexit”. Il secondo non ha voluto dire se la sanzione elettorale – 81 councillor persi, che non sono nulla rispetto alle perdite dei Tory ma diventano tanti se si considera che il Labour avrebbe dovuto guadagnare 150 seggi, se gli elettori avessero votato in linea con le elezioni suppletive degli ultimi sei mesi – è stata causata dal non aver insistito sulla Brexit o dall’aver aperto alla possibilità di non farla, la Brexit. Corbyn ha scelto di non decidere, e gli elettori hanno scelto di non votarlo: a livello nazionale, stando al calcolo fatto dalla Bbc, i due principali partiti hanno preso il 28 per cento dei consensi ciascuno, e questo pareggio fa male soprattutto al Labour che ha di fatto abdicato al suo mandato principale, che è quello di fare opposizione. 

  

I Liberal-democratici e i Verdi, partiti anti Brexit, hanno ottenuto un grande risultato (425 councillor i primi, 121 i secondi, per loro il miglior risultato alle elezioni locali della storia), non soltanto in termini di seggi: sono loro oggi i partiti d’opposizione e i portavoce del ripensamento inglese sulla Brexit. Ma non hanno avuto abbastanza consenso per poter dire che il paese non vuole più uscire dall’Unione europea: la questione Brexit è ancora lì, irrisolta. In più, tra 19 giorni gli inglesi torneranno a votare alle elezioni europee, alle quali non avrebbero nemmeno dovuto partecipare. Al voto per l’Europarlamento si presenteranno due partiti nuovi che non hanno partecipato, per ovvi motivi organizzativi, alle municipali: il Brexit Party fondato da Nigel Farage e Change UK, fondato da fuoriusciti anti Brexit dei Tory e del Labour. Il Brexit Party è dato in testa ai sondaggi, potrebbe essere il primo partito inglese alle europee, ironia assoluta essendo Farage il leader politico più euroscettico dell’Unione (e la competizione è alta). Change UK, che è partito in modo un po’ improvvisato e scomposto, potrebbe essere l’alternativa europeista al Brexit Party, soprattutto se il Labour, dopo le municipali, dovesse decidere di arroccarsi sulla posizione più filo Brexit, che è quella da sempre preferita da Corbyn. Uno dei leader di Change UK, Chuka Umunna, ex laburista, sta facendo campagna in questo senso: se siete contro la Brexit, non votate il Labour, votate noi. Così, contrariamente a quel che vogliono sia la May sia Corbyn, le elezioni europee potrebbero davvero trasformarsi nel tanto sospirato secondo referendum che gli anti Brexit chiedono a gran voce: Farage di qui, Change UK di là, potrebbe persino venir fuori una risposta più chiara del solito (avrebbe aiutato gli europeisti se Change UK e gli altri partiti contrari alla Brexit avessero fatto una lista unica). Naturalmente la May e Corbyn non staranno ad aspettare l’eventuale mattanza senza fare nulla: la premier ha detto che vuole chiudere i negoziati con il Labour sull’accordo Brexit entro la settimana prossima, con un piano condiviso. In questo modo si riaprirebbe la conta in Parlamento, e la May culla ancora la speranza di un accordo prima del 23 maggio, che escluderebbe la partecipazione del Regno Unito alle elezioni europee.

   

E’ una corsa contro il tempo fatta di calcoli e di disperazione, cui si oppongono gli anti Brexit che intravedono la possibilità di dimostrare che il paese è cambiato, e della scelta del 2016 non è più convinto. Ma anche per loro la strada è accidentata: le europee assomigliano al secondo referendum, ma non lo sono.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi