Un dibattito alla Camera dei Comuni a Londra (foto LaPresse)

Dagli scandali per i soldi al mito della purezza. Appunti sulla sfiducia nella politica

Paola Peduzzi

Dieci anni fa a Londra scoppiò il caso che piantò una immagine potente nei lettori: quella di una classe politica che professa virtù e nel frattempo munge il sistema

Milano. Perdere la fiducia è un processo lungo o breve? Basta un attimo, una parola, un evento, una verità o ci vuole tempo, ci si allontana lenti ma costanti fino a che sfiducia e indifferenza coincidono? Gli inglesi, che hanno perso fiducia in tutto, politici, partiti, istituzioni (si salvano soltanto Jürgen Klopp e il suo Liverpool, ma oggi è oggi e la palla è rotonda), stanno cercando di trovare il momento in cui ogni cosa è precipitata, come se riconoscere il momento in cui la coscienza del paese si è spezzata permettesse di aggiustarla – hanno preso a credere alle favole, gli inglesi, e non ne vengono più fuori. In questi giorni pensano di aver identificato l’attimo della sfiducia: dieci anni fa, il Daily Telegraph ottenne un cd con l’elenco delle spese dei parlamentari britannici, lo studiò, lo emendò (dice molto e con cura) e lo pubblicò. Era l’inizio dello scandalo sui soldi spesi dai politici e finiti nella nota spese dei Comuni – c’erano dettagli meravigliosi, ma se chiedete oggi che cosa è rimasto di quelle case ristrutturate, di quelle vasche da bagno rismaltate e di quegli alberi controllati uno a uno per capire se reggevano la pioggia, tutti rispondono in coro: la casetta per le anatre pagata con i miei soldi! – che portò a: dimissioni di molti sottosegretari e dello Speaker dei Comuni Michael Martin (che nel frattempo è morto, l’anno scorso), due Lord e cinque parlamentari in prigione, molti ritiri a vita privata.

 

In tutto, 392 parlamentari ed ex parlamentari hanno dovuto compensare 1 milione e 300 mila sterline per spese non giustificabili. “Anche se le cifre erano ridicole – ha scritto Jonathan Coe sul New Statesman di questa settimana, dedicato a questo “very British scandal” che esclusivamente britannico non è – lo scandalo piantò una immagine potente nei lettori, quella di una classe politica che professa virtù e nel frattempo munge il sistema prendendogli tutto quel che ha valore”. Gli osservatori internazionali guardavano il Regno e le sue pulizie di primavera con condiscendenza: noi continentali avevamo già visto tutto, a noi italiani poi veniva quasi da ridere. Le pulizie non portarono a grandi trasformazioni, anzi, a parte le vicende personali non cambiò quasi nulla, nemmeno il numero dei parlamentari sui cui molti partiti (e molti paesi) fanno girare la retorica antisistema, ma la Gran Bretagna si convinse che il suo cuore era marcio, che la grande tradizione democratica si era corrotta, che ogni rappresentanza era viziata, e così ha iniziato a ricercare la purezza perduta, purezza identitaria anche, indipendenza – la Brexit.

  

Il mito della purezza ha molto a che fare con la nostra stagione e non riguarda soltanto il Regno Unito. La risposta al distacco dell’élite e alla sua incapacità di generare cambiamento è stata la smania di purezza: il leader del Labour Jeremy Corbyn è la star di questo mito, lui che non è mai sceso a compromessi per difendere le proprie idee in nome di tale e tanta e sfacciata limpidezza – c’è voluto del genio nel nominare come proprio capo un laburista che si è fatto notare nei decenni per la sua ostilità all’ortodossia laburista, in effetti. Anche Bernie Sanders è una star della purezza e bisognava vederli e sentirli i suoi fan quando hanno scoperto qualche tempo fa che il senatore del Vermont è milionario (lui la sua dichiarazione dei redditi infine l’ha mostrata, per Donald Trump c’è voluto un altro scoop del New York Times ieri, grandioso e deprimente assieme), perché dentro alle pulizie di primavera che un po’ tutti i paesi si sono ritrovati a fare non è finito soltanto il sistema, ma pure la ricchezza. I movimenti populisti sono affascinati dalla purezza, la esprimono nel rapporto diretto con gli elettori – sono come mi vedete, senza filtri – e nella lotta all’impurità politica, fino a traslarla, nei casi più estremi, sulla purezza identitaria e razziale. Poi scopri che i purissimi brexitari non sanno nemmeno dire da dove sono arrivati i fondi per la campagna elettorale, scopri che un partito di governo purissimo in Italia ha debiti che pagherà con scadenze privilegiate, scopri che la leadership ungherese è un sistema di potere e corruzione solidissimo e non sai più né a cosa sono servite le pulizie né dove farle ora. La sfiducia sarà breve o sarà lunga non si sa, ma come buona parte delle cose umane è sicuramente tonda.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi