
Applausi e canti dalle finestre di Testaccio a Roma, flashmob quotidiano a sostegno del paese e degli operatori sanitari (foto Mauro Scrobogna/LaPresse)
Catalogo dei nuovi sentimenti
Sta cambiando il nostro senso del tempo, della distanza, della nostalgia. Fidarci è l’unica cosa che ci resta
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La rivincita delle zie
Non possiamo non dirci pagani. Il coronavirus ci punisce, così diciamo, perché siamo stati tracotanti, asfissianti, prepotenti, esuberanti, eccessivi, assoluti. Abbiamo sperperato, abbiamo peccato di ubris, diciamo così, come quando eravamo al liceo e studiavamo i miti greci e le rappresaglie degli dei e le condanne eterne cui destinavano chi infrangeva le loro leggi, o soltanto li imbizzarriva. Rivediamo gli anni, i decenni, i secoli che abbiamo trascorso a sfidare tutto, e quel movimento che abbiamo chiamato progresso ci sembra adesso un reato, un’appropriazione indebita. E dire che siamo stati attenti, accorti, ci siamo autolimitati, contenuti, prevenuti, e il contratto sociale, e la democrazia, e la monogamia, e lo stato di diritto, e le avvertenze prima dell’uso, e i parafulmini, e gli screening, e la divisione dei beni, e le assicurazioni, di tutto, abbiamo inventato di tutto per proteggerci dalla nostra ingordigia, dalla nostra fallibilità, dalla nostra piccolezza, dal caso, dalla iella, per ridurre l’influenza del mondo, che è selvaggio, su di noi, che siamo addomesticati. Il coronavirus sembra averci studiati da vicino, e a lungo, perché non c’è nostra abitudine che non abbia sovvertito, nostra presunzione che non abbia smontato, nostra conquista che non abbia incenerito, nostro alleato che non abbia trasformato in nemico. Ha estremizzato e radicalizzato tutto. Stavamo facendo del contagio una legge di mercato e lui ci ha mandato una pandemia per dimostrarci che di contagio si può morire. Stavamo annoiandoci degli altri e lui ce li ha tolti di torno per farcene sentire la mancanza. Stavamo, come sempre fanno gli uomini, adagiandoci sull’esistente dandolo per scontato, per certo, per immutabile, e infatti ci impegnavamo nella manutenzione e nel perfezionamento, allo scopo di dilatare la nostra vita, e renderla immune dall’imprevisto. Esercitavamo un controllo su tutto: appuntamenti, relazioni, educazione, futuro, procreazione, malattie, morte. E adesso, tutto azzerato? Improbabile. Ma che tutto si stia rifondando, riformulando, rielaborando, è piuttosto difficile da negare. Certo, potrebbe essere una fase momentanea, una correzione da spavento, come quando smettiamo di fumare dopo essere svenuti. Smettiamo per una settimana, due al massimo, poi la paura svanisce e il vizio ritorna. Siamo abitudinari. Il filosofo David Hume ci riprendeva spesso, per questo, e ci avvertiva di non illuderci, di non credere mai che al giorno seguisse la notte per norma: non abituatevi, diceva, perché da un momento all’altro quella sequenza potrebbe saltare, il fatto che sia sempre andata così non significa affatto che sarà sempre così, è soltanto un caso, come in tutto.
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