La copertina del Time dedicata alla campagna #MeToo

"L'utopia puritana ci sta castrando". Intervista con Catherine Millet

Giulio Meotti

Per la critica d’arte osé che ha ispirato il manifesto Deneuve contro le femministe e #MeToo: “Il politicamente corretto ha sostituito la morale cristiana nella società secolarizzata”

Roma. Martedì, a Parigi, si è aperto uno strano processo a Facebook. La vicenda è iniziata dopo che un professore parigino, esperto di arte moderna, aveva postato sul suo profilo il link a una mostra dedicata all’Origine del mondo di Gustave Courbet, il celebre quadro del pube di donna disperso a Budapest durante la Seconda guerra mondiale e riapparso a Parigi nelle mani dello psicanalista Jacques Lacan. Il gigante dei social network ha censurato e bannato l’incauto professore che aveva condiviso Courbet. Secondo la critica d’arte Catherine Millet, questa vicenda è un esempio dell’imperante “puritanesimo protestante” esondato dall’America nella vecchia Europa.

  

E’ dal 1977 che Catherine Millet provoca. Quell’anno, la crema parigina di Saint-Germain-des-Prés firma una petizione per abrogare alcuni articoli della legge sulla maggiore età sessuale. Ci sono tutti: Althusser, Aragon, Barthes, Deleuze, Derrida, Glucksmann, Lyotard, Sartre, Sollers e lei, Catherine Millet. E sempre lei all’inizio del decennio scandalizzerà tutti con la “Vie sexuelle de Catherine M.”, uno dei più audaci racconti erotici di una donna “libera e contenta di esserlo”. Con una prima tiratura di seimila copie, il libro ne raggiunse centomila in un mese, prima di essere tradotto in trenta lingue e superare i due milioni di vendite. Le librerie vennero svaligiate da lettori avidi di sapere come Millet descriva minuziosamente il modo in cui aveva usato il suo corpo a briglia sciolta, nei luoghi più disparati, dagli ascensori al Bois de Boulogne. Oggi Millet ha settant’anni e da trenta dirige la rivista Art press, organizza mostre d’arte contemporanea, scrive saggi, è stata responsabile del padiglione francese alla Biennale di Venezia ed è esperta di Salvador Dalì e Yves Klein. E’ stata lei a scrivere il grosso dell’appello pubblicato sul Monde, con la firma di Catherine Deneuve, contro il movimento #MeToo. Il carattere provocatorio di Millet sarebbe all’origine di questo famoso appello.

 

“Non capivano esattamente cosa stesse succedendo con questa ondata di richieste di censura, denunce in tutte le direzioni nei social network per azioni di uomini che non troviamo così criminali” dice al Foglio Millet. Bisognava salvare la famosa “area grigia” tra consenso e non consenso, che non può essere archiviata a meno di non “firmare un contratto davanti a un notaio prima di baciarsi”.

 

Un movimento iniziato per fare un repulisti a Hollywood ma poi esondato nel mondo dell’arte, quello che Millet conosce meglio. Le fotografie di Chuck Close bandite dalla National Gallery di Washington, i nudi diafani di Egon Schiele oscurati nella metro di Londra, il finale della Carmen rivisitato in chiave femminista, i direttori d’orchestra che hanno perso il lavoro e persino il nome (il caso Dutoit alla radio pubblica canadese), Belle de Jour di Buñuel bollato come violenza sulle donne, una mostra di Gauguin a Londra che sulla Bbc è stigmatizzata come apologia della pedofilia. Pare un delirio senza fine.

 

“E’ in corso un grande fraintendimento di ciò che è un’opera d’arte” continua Millet. “L’arte non deve essere morale. Al contrario, l’arte deve essere in grado di rivelare il lato oscuro dell’umanità. Il movimento #MeToo è un femminismo puritano. Inoltre, è sfruttato sia dalle ‘femministe professioniste’ che dalle attiviste lesbiche. La maggioranza di queste femministe rende omaggio a un’utopia puritana in cui la complessità della sessualità è completamente cancellata”. Il prossimo chi sarà, Pablo Picasso, come lasciavano sottintendere i giornali americani raccontando del caso Close? “Non osiamo censurare Vladimir Nabokov perché appartiene alla storia della letteratura, ma l’equivalente contemporaneo di Nabokov farebbe fatica oggi a trovare un editore” continua Millet.

 

Di cosa è sintomo, questa santimonia femminista? “Questo femminismo castrante, questo puritanesimo è tanto più pericoloso perché proviene da circoli che si considerano ‘di sinistra’, cioè progressisti. Penso che il politicamente corretto abbia sostituito la buona vecchia moralità cristiana nella nostra società secolarizzata”. Quando finirà #MeToo? “Quando le persone non saranno in grado di fermare queste ‘molestie’ da parte dei media”. E’ fiduciosa, Millet, che la sua “Vita sessuale” troverebbe ancora un editore. “Penso di sì. Ci sono ancora spiriti liberi”. Forse non sarà un dio a salvarci, alla Heidegger, ma i critici d’arte, gli eredi di Robert Hughes che danno schiaffoni alla cultura del piagnisteo.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.