Luca Barbareschi con la moglie Elena Monorchio. Foto LaPresse/Fabrizio Corradetti

Il manifesto di Barbareschi contro "la maldicenza e la semplificazione" del movimento #metoo

Marianna Rizzini

Dai cinque Stelle al caso Weinstein, chiacchierata con l'attore ed ex deputato pdl che in piena campagna antimolestie offre lavoro a Fausto Brizzi

Roma. Attore, regista, produttore ed ex deputato pdl, Luca Barbareschi dice di stare benissimo dove sta. E cioè al Teatro Eliseo (inteso come teatro-teatro, anche se ieri, proprio all’Eliseo, Matteo Renzi, Piercarlo Padoan e Nicola Zingaretti presentavano i candidati del Pd). Non fa più politica attiva, Barbareschi, né “vuole farla più”, dice. Ha offerto lavoro a Fausto Brizzi in pieno deflagrare della campagna internazionale antimolestie #metoo (ora anche nazionale, con lettera aperte e firme di attrici e giornaliste) e difende la scelta: “Perché l’ho fatto? Brizzi è bravo. Punto”. L’altra campagna, quella elettorale, lo interessa “come cittadino” ma lo lascia “allibito” per via “del dilagare della maldicenza, uno dei peccati più terribili per noi ebrei. Farò un film su Mia Martini, su come si può rovinare una donna con il pregiudizio. Roba da Medioevo, quando si bruciavano come streghe le donne più intelligenti. E adesso vedo questa moltiplicazione di poliziotti e poliziotte morali che si scagliano contro persone di cui non sanno nulla. Superficialmente, senza entrare nel merito. Magari ammantando il tutto di falsa comicità. Ma la comicità finisce dove inizia l’insulto. Ne sapeva qualcosa Walter Chiari, uno capace di prendere di mira il testo di una canzone di Lucio Battisti per ore, facendo ribaltare il pubblico dalle risate, e però quando uscivi non ti pareva che Chiari avesse insultato Battisti. E Beppe Grillo ha perso la vena comica quando ha cominciato a diventare bilioso contro questo e quello – bilioso e noioso. Come mi diceva il grande drammaturgo David Hare mentre preparavo il mio ‘one man show’: attenti a non cadere nella trappola dell’offesa per l’offesa”. Solo che ormai l’impostazione è quella, che venga teorizzata come metodo oppure no. Barbareschi trova “inutile oltreché pericoloso insultare i Cinque Stelle che ti insultano. I tassisti, per esempio, continuano a difenderli a prescindere. Vedi con Virginia Raggi, difesa per una sorta di allucinazione collettiva: ‘Ha visto come sono cambiate le periferie?’, ti dicono. Non sono cambiate, ma la gente non ne può più di non avere un’alternativa alla non-proposta grillina”.

   

Non vuole fare più politica, Barbareschi, ma ricorda “che cosa succedeva in Parlamento, dove a un certo punto mi sentivo pure secchione. Se vuoi combinare qualcosa devi studiare e convincere i colleghi uno a uno. E dopo quell’esperienza tanto più dico: che cosa ce ne facciamo di chi segue soltanto la logica denigratoria come fanno i bambini? Ci serve davvero gente che vive di ‘sei un cretino, no sei più cretino tu?’”. Ma il vero punto, visto da fuori, “è psicanalitico: qui nessuno ha il coraggio di essere impopolare e di prendersi responsabilità – e su questo spezzo una lancia a favore di Renzi – perché in questo paese abbiamo un problema col padre, forse perché questo paese non ha avuto neanche una madre. Sul piano privato non si può continuare a fare gli amici dei figli, altrimenti continueremo ad avere generazioni di Lenoni che a 48 anni devono ancora maturare. Gente che ha il terrore dell’autorevolezza, confusa con l’autoritarismo. Sul piano pubblico invece si dovrebbe smettere di evitare il confronto con la nostra storia di paese complesso: cambia tutto se hai avuto nel passato i Borboni o Federico II, Garibaldi o Cavour. C’è una storia da ri-raccontare senza retorica e menzogne, Risorgimento compreso. In Germania, dopo la caduta di Hitler, non è che non fosse pieno di nazisti nascosti. La burocrazia era stata nazista. Ci hanno messo vent’anni, i tedeschi, ma poi hanno fatto i conti con il fantasma di Banquo del passato irrisolto. Qui invece sento ventenni che blaterano su fascismo e antifascismo senza sapere neanche la differenza tra Mussolini, Ciano e D’Annunzio”. Quando era parlamentare, Barbareschi, “ossessionato dal tema”, aveva proposto “un convegno in cui discutere laicamente di fascismo e comunismo, in cui dire: salviamo magari le cose salvabili di entrambi. Non revisionismo ma elaborazione. La semplificazione del pensiero è uno dei grandi mali del secolo, complice la malintesa ‘velocità’ del web. Si pensa di poter prescindere dalle competenze. Ma io, socialista craxiano mai pentito, sono per l’Ena, per l’Ecole Polytecnique, persino per le Frattocchie”. Quando poi si passa “al giudizio morale sul privato, vedi il caso Weinstein”, dice Barbareschi, “resto stupefatto dall’idiozia: non capiscono, le attrici che firmano manifesti o parlano come Uma Thurman, che così fanno male alla causa della vera violenza – violenza in senso di stupro – su donne che non hanno voce? Se confondi la scopata con lo stupro, se fai della correttezza politica un vessillo, non solo non difendi la vittima, ma ottieni alla lunga un kickback mediatico: tra un po’ nessuno ne parlerà più. Perché non si fa la battaglia per le magazziniere che non hanno voce e magari non denunciano per non perdere il lavoro?”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.