Confondere il porco e l'orco
Nuove denunce, accuse arrivate con anni di ritardo e isteria collettiva. Girotondo di opinioni attorno alle conseguenze del caso Weinstein. Siamo tutti molestatori?
Il giustizialismo universale che trasforma il sospettato in maiale fino a prova contraria
di Claudio Cerasa
Il doppio caso delle accuse di molestie contro Leon Wieseltier e Harvey Weinsten può essere messo a fuoco partendo da due prospettive diverse. Una prima prospettiva è quella di entrare nella modalità Asia Argento e dare l’impressione che ogni uomo, con o senza un briciolo di potere, possa essere un potenziale molestatore, anche a costo di trasformare la zona grigia del corteggiamento in uno spazio oscuro all’interno del quale ogni apprezzamento può all’improvviso diventare l’indizio di un abuso. La seconda prospettiva è invece quella di entrare nella modalità dell’altro potenziale abusato, che nel caso specifico non è la donna che subisce un abuso, una molestia, una violenza, uno stupro ma è ogni uomo, più o meno di potere, che rischia di diventare vittima del meccanismo perverso innescato dalla criminalizzazione a prescindere di ogni presunto molestatore. L’accusa di essere un molestatore è un’accusa simile a quella di essere un pedofilo, e al di là delle solidità delle prove rende legittimo l’utilizzo estremo di una forma di giustizialismo universale che permette a chiunque di trasformare il sospettato in un orco fino a prova contraria. Un uomo accusato di essere un molestatore, o peggio uno stupratore, è un uomo che non ha il diritto di dimostrare la sua innocenza ma è un uomo che, per evitare di ritrovarsi linciato nella cornice del processo mediatico, si ritrova al massimo con il diritto di patteggiare con la società. Al di là di quello che sarà l’iter anche processuale del caso Wieseltier (se ci sarà) e del caso Weinsten (ci sarà) possiamo dire già da oggi che l’annullamento progressivo di quella zona grigia che esiste nel rapporto tra un uomo e una donna, dove una forma di semplice affetto può essere facilmente trasformata in una forma di corteggiamento molesto, porterà (forse) alla prevenzione di alcuni casi di molestie ma porterà anche due effetti non secondari: la trasformazione di una delazione anche senza prove (probabilmente sia per Wieseltier sia per Weinstein le prove ci saranno) in un’arma di distruzione di massa (orco è chi viene accusato di essere un orco non chi è orco) e la trasformazione del rapporto tra uomo e donna in un rapporto potenzialmente a rischio. In Francia, il ministro per le Pari opportunità, Marlène Schiappa, ha chiesto ai funzionari del ministero dell’Interno e a quelli della Giustizia di partorire una legge per punire chi fischia una ragazza per la strada. Punire i molestatori e prevenire le molestie è, come si dice, sacrosanto. Ma chiediamo: quanto ci vorrà prima che uno sguardo in ascensore o un cuore in una chat possano essere utilizzati come il segno di una molestia?
La lista degli “uomini di merda” e la versione (anti Trump) di Martin Amis
di Paola Peduzzi
Milano. Gira, nelle redazioni americane, una lista di “Shitty Media Men” che è anonima e che contiene accuse non verificate contro “decine di uomini, che vanno dall’invio di messaggi ‘schifosi’ ad accuse di molestie e stupro”, scrive Michael Calderone di Politico nella sua newsletter quotidiana sui media: “Molti media hanno deciso di non pubblicare queste accuse non verificate e soltanto alcuni nomi sono diventati pubblici. Ma la lista è circolata molto e presumibilmente le accuse contro altri uomini citati saranno investigate”. La caccia al molestatore è soltanto cominciata, la lista gira, gli hashtag contro gli “shitty men” prosperano, ogni settore ha i suoi maiali, non c’è limite a quel che può essere considerato “umiliante” da parte di una donna. Il mondo liberal in particolare si sente doppiamente coinvolto, ora che alle accuse a valanga contro Harvey Weinstein si è aggiunta quella a uno degli intellettuali più famosi e riveriti della sinistra americana (sinistra falca), Leon Wieseltier. A giudicare da molte reazioni sui social, neanche per il sessantacinquenne Wieseltier vale l’effetto sorpresa: molti sapevano, e ora s’accaniscono, finalmente liberi di poter liberare il proprio disprezzo, che pure a occhio non sembra aver molto a che a fare con i commenti sulle gonne strette delle redattrici, o i baci sulle labbra dati con molta libertà. Un mondo crolla, tornano alla memoria i tormenti dell’èra clintoniana, come fu trattata allora Monica Lewinsky (male, soprattutto dalle donne, dalle femministe) e quanto la moglie cornuta abbia portato il peso delle accuse al marito come se ne fosse complice, e non vittima. L’accanimento continua, ma perché? Lo scrittore Martin Amis, che in queste settimane è molto infastidito da come è stato accolto il suo ultimo saggio, una raccolta di suoi scritti dal 1996 al 2016 (dice che c’è un pregiudizio malevolo nei suoi confronti, come se fosse “il cattivo del liberalismo”), in un’intervista al Times di Londra cerca di andare alla radice di questa “reazione sproporzionata”. Perché tanto livore contro Weinstein e non contro Polanski o contro Bill Crosby? “Deve avere a che fare con qualcosa di diverso” dal fatto che le vittime sono persone – attrici – che ci sembrano familiari, “e posso pensare soltanto che questo qualcosa sia il fatto che c’è un molestatore alla Casa Bianca, o uno che vorrebbe essere considerato un molestatore”. Tutto finisce con Donald Trump, insomma. L’America liberal, dice lo scrittore britannico ormai di base a New York, traumatizzata dal fatto di avere “un predatore sessuale alla Casa Bianca”, sta scatenando la sua furia contro Weinstein (e Wieseltier). Un cortocircuito di insofferenze liberal, condito con le umiliazioni e con gli hashtag, difficile pensare che possa finire bene.
Narcisismo, cifra della nostra epoca
di Maurizio Crippa
Limitandoci all’occidente, per praticità, sotto il profilo interpersonale nella sfera sessuale e della costruzione dell’identità sessuale, che viene un passo prima, viviamo nel migliore dei mondi possibili. Si è liberi di scegliere il proprio genere, spesso polimorfo, e di articolarlo in una polifonia o cacofonia di relazioni. Tolto il caso di stupro o molestia conclamata, ovviamente. E’ pacifico e pacificato, senza dubbio è meglio dell’antica gabbia coercitiva delle concezioni ed etiche di derivazione giudaico-cristiana. Detto senza scherzare. Va tutto bene, whatever works, direbbe Woody Allen. E’ mettendosi allo specchio che qualcosa della propria identità si incrina. Si moltiplicano i segnali di una guerra irriducibile in cui ogni relazione tende a essere vissuta come violenza. Cose che spesso dovrebbero restare confinate nel gossip, tranne il caso di stupro o molestia conclamata, ovviamente. Più che con la guerra dei sessi ha a che fare con l’idea che abbiamo, o creiamo, dell’io. Ogni cosa che la vìoli è avvertita come minaccia. Lo stupro e la molestia, va bene. Ma anche un eccesso di confidenza, di linguaggio, di invio di mail. Prossimamente un invito, sempre Woody Allen, sarà cosa molesta. Scatta la “parola di sicurezza”, ma va oltre la sfera del consenso sessuale. Minaccioso è il rapporto tra le persone, qualsiasi gender pratichino, se può modificare qualcosa di sé. Non riguarda solo le libere persone polimorfiche, è uguale per quelle etero e monogamiche, pure religiosamente conuigate. Riguarda il sé allo specchio e il rapporto con l’altro. E’ il narcisismo, la cifra della nostra epoca. Somiglia un po’ all’isteria.
Siamo al maccartismo del sesso
di Giuseppe Sottile
Quale orco impiccheremo oggi tra tutti i maialoni che circolano spavaldi e indisturbati nella società di noi puri e duri? Impiccheremo un orco biondo o un orco bruno? E quale fanciulla in carriera farà scoccare la freccia del sospetto, la puttanella che gliel’ha data o la verginella che, in un sussulto di fierezza umana e femminista ha detto no, tu sul mio corpo non passerai? Bene, signori puritani. Fermo restando che i maiali vanno rinchiusi nei recinti, resta in piedi una domanda: basta l’accusa di una donna, sia essa un’attrice famosa o la cameriera d’albergo che ha incastrato il potente Dominique Strauss Kahn, per mettere alla gogna produttore cinematografico o un capoufficio, un professore dell’università o l’improvvido riccastro della barca accanto? Il rischio – sia detto senza alcuna clemenza per gli orchi, ovviamente – è che passi universalmente il principio, non proprio garantista, che ogni donna, in ogni angolo del mondo, possa in qualunque momento arrogarsi il diritto di sputtanare l’uomo che le è caduto comunque dal cuore; e che tutto questo mascariamento possa avvenire anche senza che le accuse siano suffragate da uno straccio di prova. Il rischio, insomma, è che la caccia all’orco si trasformi in un isterismo di massa e che l’isterismo apra le porte a una sorta di maccartismo del sesso. Sarebbe il trionfo della cultura del sospetto o, se preferite, del sospetto come anticamera della verità. Un orrore per chi ancora si ostina a credere in una cultura del diritto.
Giuseppe Sottile
La distinzione tra orco e porco
di Mattia Ferraresi
Non è più socialmente accettabile avventurarsi nella distinzione fra l’orco e il porco, e questo è il problema. Le due figure, chiaramente distinte nella realtà, sono indistinguibili nella valenza morale e nelle eventuali diramazioni legali, e si tratta di codici stabiliti arbitrariamente, che rispondono essenzialmente al sentire delle vittime e della società vittimizzata, nulla a che vedere con una certa visione della natura umana e dei rapporti fra le persone. Il principio di realtà è stato delegittimato dalla dittatura delle interpretazioni, dei sentimenti, della percezione, del soggettivo dominante. Ci sono università americane in cui è sdoganata l’idea che le parole possono danneggiare esattamente quanto uno stupro, figurarsi se non si può sostenere che la carica erotica di una statua greca mostrata a una collega è grave quanto un assalto in una camera d’albergo. Chi osa sostenere che non tutto è uguale, e sullo sfondo dell’umanità intesa realisticamente come legno storto ammette che l’orco e il porco non sono la stessa cosa, viene gettato in un nuovo girone infernale riservato ai complici dei sex offender.
Ho fatto più sesso io di Weinstein
di Saverio Raimondo (comico)
Nessuno ha fatto notare che la quasi totalità delle attrici che hanno subito molestie da Harvey Weinstein, da Gwyneth Paltrow ad Angelina Jolie, lo hanno anche respinto. Dunque Weinstein era sì un orco, ma anche e soprattutto uno sfigato che andava regolarmente in bianco. A conti fatti, risulterebbe che abbia fatto più sesso io in 33 anni da laureato Dams che Weinstein in 65 da produttore hollywoodiano; il che è davvero tutto dire!
Ma è sorprendete come Weistein abbia molestato chiunque. Anzi, qualunque cosa. Una giornalista ha raccontato che, dopo averlo respinto nel corridoio di un albergo, Weinstein si è voltato e si è masturbato su una pianta. Weinstein si è giustificato dicendo che era una begonia che ha bisogno di essere innaffiata frequentemente. Io peró mi chiedo: ok le femministe, ma dove sono gli ambientalisti? Weinstein stupra una pianta e nessuno dice niente? Io boh.
Una questione tutta femminile
di Giulia Pompili
Fino a non molto tempo fa il confine delle molestie sessuali nei paesi occidentali e industrializzati era tracciato da una constatazione istintuale, che potremmo sintetizzare così: non è molestia finché ne ho voglia. Ed è una questione tutta femminile, quella trasformazione che passa dal flirt al fastidio, dal bacio che ci lasciamo rubare sulle scalette della metropolitana fino allo spintone giù per le scale destinato a quelli con l’alito pesante. Ci sto o non ci sto. Fine. L’uomo è per sua natura chiamato ad attendere una decisione che è presa dalla donna, anche quando fingiamo che sia il contrario, anche quando romanzetti harmony su bondage e sadomaso diventano best-seller, anche quando vent’anni fa ascoltammo una canzone che faceva “Forse non è proprio legale sai / Ma sei bella vestita di lividi”, e nessuna pensò di denunciare Manuel Agnelli. Il pentimento esiste, gli sporcaccioni esistono, la violenza psicologica pure (quanto mi fate incazzare quando mi date del tu, per dire). Esiste una zona grigia di violenze che passano inosservate, o impunite, o alterate, e sulle quali dovremmo dar battaglia. Ma come nel teorema dei pitbull che si nutrivano di carne umana, non possiamo non avere paura di quest’altra trasformazione, dell’anch’io sono stata molestata, dell’anche lui una volta ha molestato. Polarizzare l’opinione pubblica su certi temi dovrebbe essere punito per legge, tanto quanto dovrebbero essere puniti quelli con l’alito pesante.
Si è smarrito il senso dei rapporti
di Nicola Imberti
Il caso Weinstein, la sua rappresentazione scenica che ogni giorno si arricchisce di nuovi inutili particolari e personaggi in cerca d'autore ha prodotto una perdita del senso. Anzitutto del senso delle parole. Ormai fatichiamo a distinguere le vittime dai colpevoli. Così molestie, stupri, palpeggiamenti, battute finiscono per mischiarsi creando un clima di terrore in cui le opposte fazioni si combattono al grido di “siete tutti porci” e “siete tutte puttane”. Gli scandali si moltiplicano, le denunce anche ed è come se tutto, lentamente, finisse per essere normalizzato. Banalizzato. Ormai non è raro sentire commenti tipo “vabbè ma tanto si sa che in certi ambienti funziona così”. E allora la domanda che tutti dovremmo porci è cosa sia oggi il rapporto uomo-donna. Ridotto, spesso, a una mera “transazione sessuale”. E’ soprattutto di questo rapporto che abbiamo smarrito il senso. Ben prima di Weinstein. Ma, ovviamente, a nessuno importa.
Il futuro è delle Lady Weinstein
di Annalisa Chirico
Il futuro appartiene alle Lady Weinstein in gonnella, il che mi rincuora. Le donne scalano posizioni di potere, e presto o tardi tra loro, anzi tra noi, affioreranno i casi di quelle sessualmente infoiate che fanno chiacchierare di sé poiché aduse, in preda alla frenesia sessuale, a molestare giovani e ambiziosi sottoposti per non rincasare da sole a tarda sera. Non tutte si accontentano di sorseggiare una tazza di latte, e di valletti disposti a portarti a letto per ottenere un favore è pieno il mondo. Il sofà del produttore, come la poltrona del politico, la scrivania del magistrato, il dopocena con il direttore, sono luoghi dove il fascino del potere e il suo abuso si riflettono dinanzi allo specchio della propria coscienza. Non a caso, al produttore potente come pochi e allupato come altri, alcune aspiranti attrici replicavano “no, grazie”, altre si spalmavano le mani di unguento. Uno stupro, con cortese richiesta di servigi sessuali e attesa di risposta e convenevoli vari, non si era mai visto. Così di questi tempi, in cui non Weinstein ma la virilità in quanto tale è categoria spregevole del genere umano, ci siamo inventati lo “stupro cordiale’, preludio di relazioni pluriennali, collaborazioni professionali, vacanze e tate condivise, che spettacolo. Verrebbe da ridere se non fosse che la violenza contro le donne è un abisso di lacrime. Per questo, non vedo l’ora che un prode maschietto si levi in piedi e punti il dito contro la Weinstein sui tacchi a spillo.
Ci perdono entrambi i sessi
di Alberto Brambilla
Ci sono due aspetti critici. Il primo è un processo di isteria collettiva. Weinstein è visto come una persona cattiva da chi ha lavorato con lui (Oliver Stone, Quentin Tarantino, Lindsay Lohan, ecc.) a prescindere da quel che lui ha da dire (e dirà) o da prove certe. Le “vittime” vengono credute in quanto “vittime”. Ricorda la crociata morale in cerca di abusi sui bambini tra anni Ottanta e Novanta negli Stati Uniti dove “We Believe the Children” era lo slogan, e il nome di un’associazione, che metteva sotto accusa insegnanti e baby sitter sulla base dei racconti degli innocenti; i tabloid contribuirono a creare panico generalizzato. In questo caso la crociata morale è online e l’hashtag #metoo incoraggia le donne a dire che anche loro sono state in qualche modo oggetto di abusi. Il secondo aspetto critico è che ogni attività di interazione tra uomo e donna è sotto scrutinio: oramai basta poco a confondere le molestie – un crimine serio – con altri tipi di approccio, rapporto o avances. Ci perdono entrambi i sessi. Perché gli uomini “che ci provano” rischiano di chiamati predatori ed essere trattati come potenziali stupratori. Mentre le donne saranno spaventate dal fatto che qualcuno vorrà molestarle in qualche modo: così non usciranno a bere, men che mai da sole, o dovranno dotarsi di una scorta… e via immaginando costrizioni auto-inflitte alla libertà personale. La libera interazione tra uomo e donna, che nella maggiore parte dei casi è buona e salutare, rischia di essere compromessa se l’isteria non si ferma.
Il crollo dei moralmente superiori
di Giulio Meotti
Che Harvey Weinstein amasse “prendere” le donne lo sapevano tutti a Hollywood. Fu persino oggetto di una battuta la notte degli Oscar del 2013. Tutti risero, perché tutti sapevano. Il dato più eclatante della vicenda è il crollo di quello che Thomas Frank sul Guardian chiama “liberalismo che vede se stesso come resistenza alle autorità”. Non tanto perché Weinstein era un generoso sostenitore degli Obama e dei Clinton, ma perché finanziava le campagne contro il razzismo, il sessismo, la censura e ogni altra giusta causa. Weinstein è l'anti-Roger Ailes, aveva messo i soldi nel docufilm “The hunting ground” sugli stupri nei campus, ospitava feste per la lotta contro l’Aids e patrocinava le “Madri contro Bush”. Non è un caso se la prima risposta di Weinstein alle accuse di abusi è stata una promessa di fondi contro la National Rifle Association, la lobby delle armi. Con Weinstein implode quel tipo di liberalismo che è sempre servito a esercitare il potere di classe. La “classe creativa”, la Silicon Valley, Hollywood e i “grandi artisti”, e con essi la condiscendenza di un certo mondo dorato, sfacciatamente ricco e scintillante e che si riteneva moralmente superiore, ma che covava una penosa decadenza di doppia morale e di soprusi, tirato giù dalle delazioni di attrici e imprenditrici che ne avevano approfittato. Weinstein è caduto per aver abusato di loro, le regine dello showbiz, mica la cameriera del Sofitel come Dominque Strauss-Khan.
Da lupo a Weinstein, la caduta
di Simonetta Sciandivasci
La reductio ad lupum del maschio; la reductio ad Weinstein del lupo; la minaccia di un “inferno speciale per le donne che non sostengono le donne” che sposta d’altri x anni la presa di coscienza che nulla è più sessista del principio per cui se sei femmina hai un dovere di solidarietà verso le femmine, senza se e senza ma; commissariati che soccombono a Twitter; stupri e molestie che, raccontati presso un hashtag, diventano fattori identitari; registi che denunciano la propria omertà non perché sia giusto, ma perché temono che verrebbero comunque scoperti e allora meglio contenere il danno; Nadia Nicolodi che twitta foto di Weinstein e invita a immaginarlo da piccolo perché “si può ricostruire la cattiveria di uno che all’asilo già lo schifavano tutti” e riabilita Lombroso (ma quello è il meno) e bullismo. Isterico e orribile, tutto, ma passerà. Rolling Stones ha scritto che con Weinstein muore il machismo e questo sì che resterà: all’aperitivo, noi ragazze potremo dire, alle amiche che si lamentano di fidanzati non troppo maschi, che è colpa di Weinstein. Niente di nuovo, tranne il nome del capro espiatorio.
Oltre ogni castroneria
di Enrico Cicchetti
Non credo di poter aggiungere nulla di nuovo al tema. Non niente di intelligente, proprio niente di nuovo. Nemmeno ragionando ad absurdum, perché ormai qualsiasi castroneria è già stata detta. La cosa sta diventando surreale: su Buzzfeed ho letto un pezzo in cui la femminista Bim Adewunmi dice che c’è un problema di razzismo con Weinstein: perché avrebbe toccacciato solo donne bianche. Per fortuna alla fine del pezzo c'è un aggiornamento. Ha molestato anche Lupita Nyong’o, premio Oscar per 12 anni schiavo, afroamericana. Meno male!
L’arte di piacere e di potere
di Giovanni Battistuzzi
Ci sono tante altre Asia Argento e tanti altri Harvey Weinstein, prima di loro e con loro, magari in forme e circostanze diverse, ma ci sono mille e mille storie di rapporti sessuali richiesti, di corpi usati come vie preferenziali, di mancato coraggio di dire no. Il sesso e lo spettacolo si sono sempre intersecati, forse dall’origine della messa in scena delle prime tragedie. Già in Grecia c’erano attori giovani che si concedevano ad attori più vecchi o sceneggiatori o uomini di teatro. Era qualcosa di risaputo, accettato. Ci sono stati casi poi nelle commedie del Settecento e dell’Ottocento e nel Novecento molti grandi uomini dello spettacolo si sono stretti a donne bellissime che poi hanno fatto carriera o viceversa. Non era la normalità, ma un’eccezione abbastanza diffusa. Perché in questo scambio rientrava anche il fascino, la capacità di ammaliare. Negli anni Sessanta Jayne Mansfield disse del compagno Baruch Lumet: “Era famoso, mi fece delle avance, decisi di concedermi alle sue mani. Mi conquistò il suo carisma e il suo fascino. E anche la possibilità di realizzare il mio sogno”. Nel caso Weinstein tutto questo scompare, la seduzione, anche se di potere, è diventato ricatto. E se l’arte di piacere, anche se di potere, si trasforma in imposizione è lo stesso sistema dello spettacolo a implodere, a perdere le sue basi.
Ragionare sui rapporti uomo-donna
di Maria Carla Sicilia
E’ scontato condannare ogni caso di molestia sessuale, ma un ragionamento sano sui rapporti di genere non può svilupparsi intorno agli hashtag né tanto meno in 140 caratteri perché non è cosa semplice definirne i confini. L’isteria collettiva nasce dalla voglia cieca di partecipare al dibattito, tanto più se la narrazione si appiattisce sulla dicotomia vittima-carnefice: una distinzione così netta tra buoni e cattivi è un’esca perfetta per tutti quelli che non aspettano altro che avere un tema da commentare. Risultato: una noiosa carrellata di #metoo che tra giudizi semplicistici e testimonianze personali non mettono a fuoco aspetti più utili al dibattito. Perché certe dinamiche sono state normalizzate per anni, prima di diventare notizie da prima pagina? Come si può rendere più consapevoli gli uomini e le donne dei propri modi di relazionarsi con l’altro sesso? Fuori dagli stereotipi – e quindi al di là del caso Weinstein, che di stereotipi è pieno – su questo bisognerebbe porre l’accento per fare un passo avanti nella discussione, senza svilirla né deformarla.
Recuperiamo il senso delle parole
di Micol Flammini
Prima tutti contro Weinstein. Poi tutte contro il produttore. Infine, tutte contro tutti. Weinstein ha improvvisamente smesso di essere Weinstein e si è trasformato nella personificazione del molestatore, anzi dei molestatori. Anche di quello che non c’è, al quale, comunque, qualcuna ha voluto dedicare la denuncia narcisisticamente social #metoo. Nella terra desolata della solitudine identitaria, l’hashtag è diventato identità, la parola molestia è stata spolpata e privata del suo significato. E’ diventata una generalizzazione che, tra le conseguenze, ha trasformato il gioco della seduzione in colpa. Recuperiamo le parole, accarezziamole, capiamole. La molestia è un atto meschino che punta a mettere a disagio. L’apprezzamento non è molestia, lo sguardo che scivola sul décolleté senza indugiare non è molestia. Il #metoo non ha depotenziato i molestatori, ma soffocato il significato. Non ha ucciso l’orco, ma ridicolizzato le donne.