Niente è più antifemminista del non saper dire di no

Anselma Dell'Olio

Qual è il messaggio che arriva alle donne da questa sconcertante, conformista, morbosa, vigliacca festa del vittimismo femminile inaugurata dal caso Weinstein?

Garantisti”, “urge il garantismo”, singhiozza Oliver Stone, amico intimo di dittatori come Fidel Castro e Hugo Chavez che di garanzie costituzionali se ne fregavano (il regista ha diretto documentari agiografici di Castro, Chavez e Putin). Il regista di “JFK” e di “Wall Street” è stato il primo a parlare del principio di presunta innocenza fino alla condanna d’un accusato. Ha ragione pure Woody Allen, ad alzare l’allarme caccia alle streghe, anche se poi costretto (perché pure in odore di farlo per coprirsi il culo), come altri refusenik, al calcio dell’asino a Harvey Weinstein, ad “avere più compassione per le donne”, a rettificare il suo grido d’allarme. Ad alzare una vocina di preoccupazione per la pioggia di pietre verbali sull’ex potente di Hollywood, si rischia di essere chiamati a rapporto – “che fai, biasimi le vittime!?”. Cercare di impedire la profanazione del cadavere della reputazione di Weinstein ed essere inondati d’insulti scorticanti dai guardiani della virtù femminile è tutt’uno.

   

Ma è osare troppo affermare che tutto questo è ferocemente antifemminista? Qual è il messaggio che arriva alle donne da questa sconcertante, conformista, morbosa, vigliacca festa del vittimismo femminile? Che dritta, quale aiuto arriva a femmine esposte al bavoso di turno, che non sono né star né collaboratrici di uomini celebri ma come tutte e dappertutto a rischio di avance inopportune da un qualsiasi capo, maschio influente, corteggiatore, amico o prepotente semplicemente arrapato? Siamo sicuri che “il coraggio di denunciare”, purché in branco, siano le sole istruzioni per l’uso di un’aggressione sessuale subita o tentata? Ben venga l’effetto “autocoscienza” del proprio diritto delle donne alla libertà da interferenze e molestie anche solo verbali, con rispetto dovuto nello spazio indicato dall’Uomo Vitruviano di Leonardo. Ma perché non chiarire che il primo a violare tale spazio è in colpa, in contravvenzione, e che solo se è a rischio l’incolumità fisica è giustificato subire ingerenze grossolane come quelle attribuite a Weinstein? Davvero è legittimo “starci” per paura di perdere occasioni e parti in film di successo? Per ora solo Angelina Jolie, dopo aver tirato il suo sassolino a Harvey, dice di essersene andata dall’incontro, semplicemente escludendo la Miramax dal suo orizzonte professionale. Si sta incolpando le vittime? Si giustificano come don Abbondio, che se una, il coraggio non ce l’ha non se lo può dare? Perché non ricordare che esiste il coraggio di dire no, subito e senza ambiguità, senza comportamenti equivoci, decise a difendere insieme il proprio corpo e amor proprio? Se non ora quando, care amiche affrante, umiliate e offese, che solo in assetto di mobbing trovate il coraggio? Dove stanno quei valori che permettono a una sola attrice tra le denuncianti di alzarsi, andarsene, sbattere la porta e cercare il celebre portone sempre promesso dal noto proverbio? Si spera che ci siano state altre, cresciute come tutte noi a compiacere, a essere gentili, a non deludere o offendere i signori uomini (ma non quando si comportano da cavernicoli, come avvisano le mamme) che si siano dirette all’uscita con determinazione e senza scuse, verso la libertà.

  

Se non è impedita dalla maggiore forza usata, o da un’arma, solo l’opportunismo impedisce a una donna di mandare al diavolo uno scostumato approfittatore. Se non ora quando, di grazia? Se invece lo subisci, non puoi denunciare il fattaccio per paura di rappresaglie che non puoi combattere; così si giustificano tutte le vittime giustamente angosciate e zeppe di sensi di colpa, per la loro pavidità e sottomissione. Se si accetta che le donne in questione, che non si sono ritirate in buon ordine da chi “ci prova”, timorose di perdere il lavoro o l’opportunità di una parte decisiva, siano delle eroine e pure vittime, tutto è perduto. Il femminismo rivoluzionario di Mary Wollstonecraft, di Aphra Behn, di Simone de Beauvoir, di Kate Millet, di Betty Friedan, di Giovanna d’Arco, per Minerva e Atena!, è nato e vissuto in vano. Il timor-panico come bandiera? Che perdita di tempo. Che brutta storia. Che vergogna.

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