
Un ospedale temporaneo a Wuhan (foto LaPresse)
Adesso occorre decidere: riusciamo a isolare i malati dai sani?
I malati lievi che stanno in casa agiscono come microfocolai, in Cina li mettevano in quarantena, in Italia per ora no
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Roma. Se vogliamo riaprire, con cautela e a scaglioni, dobbiamo prima affrontare alcune questioni. Una delle più importanti è che non vogliamo mettere in pratica la raccomandazione che ci fanno i medici cinesi, separare tutti gli infetti dai sani il prima possibile (il governo cinese non è trasparente, ma i medici cinesi hanno acquisito molta esperienza nella lotta contro il Covid-19). Liang Zong’an, un esperto in malattie respiratorie che è venuto in Italia a spiegare come hanno fatto a contenere il contagio a Wuhan, dice a Bloomberg News che all’inizio anche loro avevano fatto lo stesso errore. La città cinese da undici milioni di abitanti è finita sotto lockdown il 23 gennaio, ma in una prima fase i medici cinesi accettavano negli ospedali soltanto i malati con sintomi gravi e spedivano indietro i malati con sintomi lievi per non saturare il sistema. Ai malati con sintomi lievi raccomandavano di isolarsi in una stanza di casa loro e di evitare i contatti con il resto della famiglia – ma il risultato è che molto spesso i malati con sintomi lievi trasmettevano il virus al resto della famiglia e alcuni dei contagiati diventavano gravi. Quando i cinesi hanno capito che il virus è molto contagioso anche quando i sintomi dei malati sono lievi – oppure persino quando i sintomi non ci sono ancora – hanno cambiato strategia. A partire dal 2 febbraio, a Wuhan è cominciata una operazione molto aggressiva per mettere in quarantena chiunque avesse i sintomi del Covid-19 o fosse sospettato di averli o addirittura in qualche caso fosse stato a contatto con un malato. Zhang Jinnong, capo del reparto emergenze in un ospedale di Wuhan, spiega al Wall Street Journal che secondo lui è stata la misura più importante. La nuova strategia costrinse le autorità a requisire centinaia di alberghi, di scuole e di altri luoghi per trasformarli in centri di quarantena. Inoltre cominciarono i test di massa, perché a quel punto i tamponi non dovevano più servire a capire se un paziente arrivato in ospedale aveva oppure no il virus, ma servivano soprattutto a “vedere” come il virus stava attraversando la città, in quali quartieri stava diventando più denso, quali parti della popolazione e quali quartieri era necessario isolare. I test passarono da duecento a circa settemila al giorno – quindi più della media di oggi in Italia, che ha sessanta milioni di abitanti e non undici. I malati lievi consumano la loro malattia isolati dal resto del mondo. “Basta spegnere il sistema di condizionamento dell’aria negli hotel”, dice Zhang Jinnong, per non facilitare la trasmissione. L’8 febbraio le autorità di Wuhan hanno dato il permesso di ricominciare con ordine alcune attività produttive. Il 3 marzo l’epidemia in città è stata dichiarata “completamente sotto controllo”.
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- Daniele Raineri
Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)