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“Ci vuole un patto di sistema per scegliere il prossimo sindaco”

Salvatore Merlo

Parla Nicolò Rebecchini, presidente dei costruttori: “Partiti, imprese, sindacati. Un disarmo ideologico per salvare Roma”

Roma. E’ il rappresentante istituzionale della prima industria della città, che malgrado tutto rimane l’edilizia – “questo c’è a Roma e Dio ce lo conservi”, dice lui spiritosamente. Romano dal cognome evocativo, Rebecchini, dunque impresa e famiglia, ferro e cemento, nipote di Salvatore, il sindaco democristiano della ricostruzione postbellica e della grande espansione urbanistica – “non sempre ordinata ma erano gli anni in cui era necessario dare lavoro e alloggi a masse umane che emigravano a Roma” – oggi Nicolò Rebecchini, cinquantasei anni, presidente dell’Acer, è tra gli imprenditori più preoccupati dal declino sociale ed economico della Capitale. “Ma le crisi si possono invertire se c’è la volontà di farlo da parte di tutti coloro che hanno delle responsabilità nel tessuto cittadino”, dice. “Ci vorrebbe un grande patto di sistema che coinvolga i partiti, le imprese, i sindacati…”. Insomma tutti gli attori politici, sociali ed economici di Roma, “compresa la magistratura”, aggiunge lui, riferendosi forse all’esempio di Milano, capitale del nord produttivo in cui la procura della Repubblica, senza mai rinunciare ovviamente al suo compito, negli ultimi anni ha saputo “fare sistema” – come si dice – con il resto della città. Sapendo evitare la tentazione di quel genere di incursioni giudiziarie che talvolta, in Italia, hanno bloccato quasi pregiudizialmente lo sviluppo, l’impresa, la nascita di opere pubbliche e di infrastrutture spesso cruciali.

   


Nicolò Rebecchini (Foto LaPresse)


  

“Tra un anno e mezzo si voterà per eleggere il nuovo sindaco”, riprende allora Rebecchini. “E che succederà? Nessuno vuole davvero governare Roma, parliamoci chiaro. Tutti percepiscono che è un’impresa titanica, persino pericolosa, capace di stritolare chiunque. Per questo corriamo un rischio pernicioso. E cioè quello di assistere a una campagna elettorale tra mezze figure, seconde e terze linee espresse dai partiti spaventati. Una gara tra mediocri spinti a candidarsi perché sacrificabili sull’altare del Campidoglio. E tutto questo quando invece Roma, più che mai, avrebbe bisogno di energia, talento, fantasia, operatività e competenza. Chi mai oggi vorrebbe governare Roma nello stato in cui è? Con la burocrazia impantanata, le municipalizzate al collasso, il debito alle stelle, l’inchiesta giudiziaria sullo stadio, la rabbia e le protesta pronte a esplodere a ogni piè sospinto?”. Si rischiano mezze figure, dice Rebecchini, che allora propone la sua idea, l’escogitazione di un funzionalista nella città disfunzionale, un’idea ragionevole nell’epoca più partigiana e forse meno ragionevole della storia politica d’Italia: “Un patto di sistema tra tutte le forze sociali, una sorta di autocommissariamento dei partiti. La politica scelga un candidato sindaco di alto profilo istituzionale, e attorno a lui lavoriamo insieme per far ripartire la città”, dice. “Ora o mai più”, aggiunge.

 

“Che Roma sia un’emergenza l’hanno capito tutti. E allora sarebbe proprio il momento di aderire a un grande disarmo ideologico fra i partiti, che è un po’ il senso delle parole di ieri del presidente Mattarella, che parla di ‘dialogo’. Sarebbe l’ora di uno sforzo collettivo, di un riscatto delle coscienze, di un salto in avanti al di là del colore politico. Nel tessuto sociale della città c’è molta sofferenza e anche molta voglia di collaborazione. Non c’è mai stato, per esempio, come oggi, un’intesa così naturale tra noi imprenditori e i sindacati. Perché chi ha contezza dei problemi del lavoro, e delle difficoltà di questi anni, s’intende: noi e loro ci capiamo perché abbiamo gli stessi problemi. E allora anche la politica dovrebbe accordarsi a questo spirito. Bisogna chiedersi cosa serve alla città. E bisogna chiederselo insieme”. Quindi individuare un sindaco di tutti, dice Rebecchini, che pure si rende conto di poter apparire velleitario, “ma qui ormai non è più tempo per esercizi di cinismo”, dice. Dunque una figura sostenuta da tutti. “E che proprio in virtù di questo ampissimo consenso e sostegno sia dotata della forza politica straordinaria che richiedono gli interventi fuori dall’ordinario di cui questa città ha urgentemente bisogno”. E certo risulta difficile immaginarsi che forze politiche ultra litigiose che si sono spinte fino agli eccessi più sbrigliati e violenti della propaganda possano improvvisamente acquistare quella compostezza, e responsabilità, richieste da un progetto del genere. “Ma o succede questo miracolo, o altrimenti saremo condannati alla palude della mediocrità”. Che risulta tuttavia più accordata ai tempi. Tempi dai quali è pericoloso sporgersi.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.