La carbonara del ristorante Il Girasole

Dove si mangia la miglior carbonara a Roma

Giovanni Battistuzzi

Guida ampiamente inesaustiva su dove si può gustare il piatto di pasta più diffuso e tradizionale della città

È tutto molto semplice. Cinque ingredienti, non uno di più, non uno di meno. Il problema, e quindi la maestria, sta nel gestirli. Pasta, uova, pecorino, pepe e guanciale, non serve altro per fare una carbonara. A Roma la si può mangiare praticamente in ogni trattoria e ristorante. E anche fuori dalla Capitale, ormai, è una delle pietanze più servite, sebbene non sempre si rispetti la ricetta considerata tradizionale. A volte si aggiunge un po’ di panna, a volte il latte, c’è chi sostituisce il guanciale con la pancetta e chi il pecorino con il parmigiano. Blasfemie. C’è anche chi aggiunge i broccoli o il tartufo. Varianti, più o meno sciccose.

 

All’interno del Gra in molti si fregiano del titolo di “mejo carbonara de Roma”. Sarà che il piatto è apprezzato e ricercato. Sarà che “le opinioni sono un po' come la carbonara, la mejo è sempre sotto casa propria”. Almeno per Alberto Sordi. Da Enzo a Trastevere, Agustarello a Testaccio, Da Cesare al Casaletto, Osteria Bonelli a Torpignattara, meritano un transito, una fermata, una mangiata, ma è al Girasole a Garbatella che a dire “la mejo carbonara de Roma”, almeno per chi scrive, non si fa errore. Perché la carbonara “è una cosa semplice, c’è solo un modo di farla. Ed è proprio qui che sta il difficile. E così c’è chi la varia un po’, mette più rossi d’uova che bianchi, cuoce più o meno il guanciale, insomma applica delle varianti per far affezionare i clienti. Io sto sul classico: un uovo a persona, perché in cucina non si deve sprecare niente e guanciale scrocchiarello”, dice al Foglio Massimo Dante, titolare e cuoco del Girasole. “Poi c’è chi non la sa fare proprio. E lì sono dolori nel piatto”.

 

Per Massimo la carbonara è una tradizione familiare. “E’ dal 1981 che siamo qui a Garbatella in via Rosa Raimondi Garibaldi. Il locale l’ha aperto mio padre con mio zio. Aveva lavorato in ottimi alberghi e ristoranti, poi, innamorato com’è del cucinare, ha deciso di mettersi in proprio. Ha trovato questo locale e, costatando che da mattina a sera il sole illumina sempre l’esterno, l’ha chiamato Girasole. È da allora che la carbonara è sempre quella”. Anche ora che è andato in pensione. Massimo, che dalla cucina era partito e che in cucina è ritornato dopo un passaggio in sala, ha deciso che non ci dovessero essere modifiche alla preparazione. Che ovviamente è un segreto, “anche se non c’è nessun segreto per cucinare una buona carbonara. Solo attenzione e qualche trucco”. Il primo di tutti è la serenità: “Non devi avere malumori per cucinare bene. Quando ti metti ai fornelli devi lasciare fuori ciò che non va”. Insomma: lo zen e l’arte di cucinare la carbonara. “Ed è meglio avere un buon maestro, perché è facile rendere questo piatto una schifezza. Io sto ancora imparando dopo quattro anni: quella di mio padre rimane irraggiungibile”, conclude Massimo.

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