Virginia Raggi (foto LaPresse)

Raggi è stata assolta

Salvatore Merlo

Sul caso Marra “il fatto c'è ma non costituisce reato”. Meglio così, la liberazione di Roma non può arrivare per via giudiziaria

[Articolo aggiornato alle 15,30 del 10 novembre] "Il fatto c'è, ma non costituisce reato". Il sindaco di Roma, Virginia Raggi è stata assolta dall'accusa di falso nel processo sulla nomina di Renato Marra alla direzione Turismo del Campidoglio. "Questa sentenza spazza via due anni di fango, andiamo avanti a testa alta per la mia amata città e i miei amati cittadini", ha detto Raggi dopo la lettura della sentenza. Nell'articolo che segue, pubblicato alcuni giorni fa sul Foglio, Salvatore Merlo spiegava perché è un bene che Virginia Raggi non sia stata condannata: la liberazione di Roma non può venire per via giudiziaria.


   

C’è da sperare che Virginia Raggi non venga condannata, o che anche qualora sabato il tribunale di Roma stabilisca la sua colpevolezza nella vicenda Marra, la sindaca decida di non dimettersi come invece pretenderebbe lo statuto forcaiolo del Movimento cinque stelle. Ci contiamo. Ci speriamo. Ed è un paradosso solo apparente. Lo scioglimento giudiziario della vicenda politica che ha portato il M5s in Campidoglio sarebbe infatti un alibi per tutti gli errori, le piccole furbizie e le grandi stupidaggini che sono state commesse ai danni della città negli ultimi due anni: dalla rinuncia insensata alle Olimpiadi, cioè la mistica depressiva che spaccia per risparmio un’ideologia da strapaese reazionario fatta d’immobilismo, fino al pasticcio torbido intorno allo stadio della Roma. Dalla grottesca inconcludenza nella preparazione dei bandi pubblici di gara (dove sono finiti per esempio i nuovi autobus promessi un anno fa?), fino ai balbettii indecenti sul ciclo dei rifiuti in una città che nel frattempo si riempie di monnezza. Per non citare l’irritante demagogia applicata a settori cruciali: dai musei, all’ambiente.

 

La liberazione di Roma anzitempo e per mano dei magistrati eviterebbe agli attuali occupanti del Campidoglio di fare davvero i conti con il giudizio degli elettori per manifesta e pericolosa inadeguatezza. Impedirebbe una chiara presa di coscienza del fallimento populista applicato al governo della complessa capitale d’Italia. Sposterebbe l’attenzione su un piano fuorviante, cioè quello del codice penale, e impedirebbe, infine, la possibilità che in città si organizzi un’offerta politico-amministrativa compiuta, davvero alternativa, e non rabberciata all’ultimo istante, nell’imminenza di elezioni anticipate, la replica di pastrocchi cui i partiti in questa città si sono già abbandonati volentieri in passato e con esiti tutt’altro che felici. La manifestazione del 27 ottobre in Campidoglio, contro l’amministrazione grillina, quella piazza senza sigle né bandiere, ha fatto emergere un umore carsico, una scontentezza latente, una domanda generica cui ancora non corrisponde nessuna offerta politica che la condensi e la rappresenti.

 

 

E allora c’è da sperare che sabato Virginia Raggi sia assolta, o che se condannata non si dimetta, ma rimanga lì, fino alla fine, fino al definitivo e conclamato spelacchiamento della sua vicenda politica. E’ un paradosso, certo. Ma a volte è necessario immergersi fino in fondo nello spessore di buio che avanza, fare i conti con l’insensatezza e con gli abbagli collettivi, per poi poter tutti insieme risalire verso la superficie e chissà con un po’ di fortuna (nel nostro caso forse molta fortuna) poter raggiungere la luce della competenza, del talento e – siamo ottimisti – della cultura.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.