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Raggi nel suo labirinto

Massimo Solani

Il 10 novembre la sentenza. Nel momento più difficile il sindaco di Roma è sola e sembra non poter contare più nemmeno su Di Maio

Roma. Ci mancavano solo il vento, gli alberi caduti a decine sulle strade e la rabbia delle mamme per la decisione di chiudere le scuole per due giorni che è tracimata dai social quando non si era ancora placata la polemica per gli insulti rivolti ai partecipanti alla manifestazione di sabato scorso in Campidoglio. Se in politica esiste la tempesta perfetta, Virginia Raggi in questi giorni ci naviga dentro senza riuscire a vedere un orizzonte che sia più lontano del 10 novembre, giorno in cui la sezione monocratica del tribunale di Roma emetterà la sentenza del processo che vede la sindaca imputata per falso in relazione alla nomina di Renato Marra a capo dell’ufficio Turismo. Se condanna sarà, come previsto da regolamento del Movimento, a Virginia Raggi non resterà altra strada che rassegnare le dimissioni e chiudere gli scatoloni per il più mesto addio alla politica visto che anche Roberta Lombardi sentendo puzza di soluzione “alla romana” ha sbarrato la strada a qualsiasi possibilità che la giunta della Capitale resti in sella senza il simbolo del Movimento ma sostenuta comunque dalla maggioranza grillina.

 

Ma se anche dovesse uscire indenne dal tribunale, Virginia Raggi avrà poco tempo per festeggiare e ben pochi amici disposti a farlo con lei. A volte i segnali, anche quelli più piccoli, dicono tutto. Diceva tanto, ad esempio, il video postato su Facebook in cui il marito della sindaca Andrea Severini la difendeva dalla patetica (ma il livello lo aveva scelto proprio lei usando quegli argomenti per attaccare le donne di #Romadicebasta) polemica sulla presunta borsa firmata. Ci ha dovuto pensare lui a difendere la sindaca, perché dal Movimento fin lì non si era levata voce. Sarà perché con le turbolenze interne fra decreto sicurezza e manovra i vertici nazionali hanno ben altro da fare, oppure sarà perché la tensione con l’alleato leghista ha raggiunto livelli di guardia. Fatto è che Virginia Raggi nel momento più difficile del suo mandato da sindaco è sola e sembra non poter contare più neanche sul suo “sponsor” Luigi Di Maio, evidentemente distratto dalle beghe di governo. Alla sindaca non è andata bene neanche la richiesta di 180 milioni avanzata per riparare le buche di Roma. Il ministero dell’Economia, ieri, ha respinto la richiesta. Dunque sola e arroccata, anche se i militanti hanno promosso una manifestazione in sua difesa per il 9 novembre alla vigilia della sentenza Marra, con una città che le ha voltato platealmente le spalle riempiendo piazza del Campidoglio e le ombre nere di chi aspira alla sua successione già pericolosamente allungate sul comune.

 

Condanna o meno, infatti, Matteo Salvini ha deciso che il tempo a disposizione della sindaca è finito e le prove d’appello terminate. Per questo da tempo ha iniziato la sua guerra di logoramento combattuta tanto in prima persona, rimpiangendo pubblicamente la mancata elezione di Giorgia Meloni, quanto attraverso i suoi uomini in Assemblea Capitolina: “Una delle peggiori amministrazioni di Roma”, ha tuonato il neo capogruppo della Lega in Campidoglio Maurizio Politi. Che sia la proiezione romana della tensione crescente fra Movimento e Lega a livello di governo è evidente a tutti, ma a pochi sono sfuggite in queste settimane le prese di distanza dell’assessore alle Politiche sociali Laura Baldassarre sul decreto sicurezza (“Se non cambia aumenteranno le situazioni di illegalità”) o la partecipazione del vicesindaco Luca Bergamo a un evento pubblico allo Spin Time Labs, una delle occupazioni storiche di Roma contro cui Salvini ha più volte puntato il dito annunciando sgomberi e ruspe.

 

Ma più che a Giulia Bongiorno, a Barbara Saltamartini, o a Giorgia Meloni, i nomi sui quali secondo indiscrezioni il ministro dell’Interno starebbe ragionando per la sua marcia su Roma, in questo momento Virginia Raggi ha ben altro a cui pensare, alle prese con una città che le sta rapidamente sfuggendo di mano. A partire dall’emergenza rifiuti che rischia di farsi ancora più seria visto che per il 5 novembre i sindacati di Ama hanno proclamato una giornata di sciopero. Con il bilancio della municipalizzata ancora fermo in Campidoglio, infatti, fra le altre cose sono a rischio gli stipendi dei lavoratori e ovviamente anche la raccolta.

 

Sempre a proposito di municipalizzate, spinosa è anche la questione relativa a Atac: l’11 novembre infatti, all’indomani della sentenza che potrebbe condannarla, si voterà il referendum sull’affidamento del trasporto pubblico che la sindaca ha fatto di tutto per rimandare e insabbiare. E’ un referendum puramente consultivo, certo, ma i risultati potrebbero rappresentare una nuova bocciatura delle politiche di gestione di Atac su cui il comune ha scommesso portando l’azienda al concordato. Senza dimenticare, poi, che proprio in questi giorni la procura di Roma ha chiuso le indagini sullo stadio della Roma e si appresta a chiedere il processo per 20 persone fra le quali l’avvocato Luca Lanzalone, ossia il plenipotenziario della sindaca sulla questione del nuovo impianto e l’uomo messo dal Campidoglio a guidare l’Acea. Sono passati cinque mesi dagli arresti di Lanzalone e del costruttore Luca Parnasi ma nonostante l’inchiesta non abbia sfiorato né il Campidoglio né la Roma il progetto dello stadio sembra bloccato per la rabbia dei vertici della società giallorossa e dei tifosi.

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