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Raggi e i giorni del giudizio

Marianna Rizzini

Dall’Atac al degrado, a Roma c’è domanda di reazione alla gestione Raggi, ma l’offerta latita

Roma. Mancano due giorni al referendum sulla messa a gara del servizio di trasporto pubblico locale dell’11 novembre e la Roma degli autobus che non passano, si fermano e a volte bruciano sembra immersa nel solito sonno insofferente, cullato dai lamenti per il traffico, il degrado, la non sicurezza, l’apatia generale, la morte culturale. Però forse non è proprio sonno profondo. Se si guardano infatti le ultime settimane di vita romana, nonostante il silenzio del comune sul referendum cosiddetto “Atac” promosso da Radicali Italiani e Radicali Roma, silenzio interrotto negli ultimi giorni da qualche voce proveniente dal Pd e da Forza Italia, si notano piccoli indizi di resipiscenza, seppure non collegati necessariamente (e questo è un problema) ai soggetti che potrebbero percorrere le praterie che in due anni di sindacatura Raggi si sono aperte di fronte alle finestre di qualsiasi opposizione, tanto più nell’imminenza della sentenza di sabato (caso Marra, con il sindaco Virginia Raggi imputata per falso).

 

C’è dunque la permanente mobilitazione del comitato promotore radicale “Mobilitiamo Roma”, che ieri, con Riccardo Magi, ha fatto il punto sul voto alle porte; c’è la finale mobilitazione del Pd locale, che con consultazione interna degli iscritti ha deciso di dire “sì” al referendum (oggi Paolo Gentiloni e Graziano Del Rio ne parleranno al Nazareno) e c’è Forza Italia che invita ad andare a votare per smuovere la “Roma al capolinea”. E la Lega? La Lega, che sul tema concorrenza ed efficienza è sempre sembrata a parole in prima linea, e che a Roma da mesi sta lanciando una sorta di Opa sul comune a cinque stelle, con iniziative nei quartieri disagiati, proclami sulla sicurezza e fronda capitolina, sul tema Atac non fa sentire la propria voce (anzi). E però qualcosa si percepisce, senza poter dare un nome preciso a quello che pare un piccolo risveglio sotto al ghiaccio: c’è stata, sabato 27 ottobre, la manifestazione civica “Roma dice basta”. Ci sono i siti dei quotidiani e i social network, con critiche all’amministrazione sempre più evidenti, c’è la voglia di fare qualcosa (non si sa ancora cosa) percepibile nelle chiacchiere da bar, come se la delusione non volesse più girare a vuoto. C’è la domanda, insomma, ma è come se non ci fosse l’offerta. Chi, infatti, vuole o può farsi carico della voglia di reazione finora apartitica? Non c’è infatti ancora un nome, né a destra né a sinistra, e sia a destra sia a sinistra (e nei Cinque stelle) si è consapevoli che l’eventuale caduta di Raggi per mano giudiziaria troverebbe impreparate le truppe di ogni colore. Roma dice basta, ma qualcuno deve portare il “basta” da qualche parte.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.