Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Oltre le baruffe sulle euro-riforme, ridurre il debito (senza scosse) è la priorità

Pier Carlo Padoan

La Germania accelera sull’Unione bancaria pensando alle sue banche. Usiamo le loro aperture per contenere i nostri rischi

L’articolo che il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz ha pubblicato qualche giorno fa sul Financial Times ha suscitato un acceso dibattito (tra gli addetti ai lavori) sia sui contenuti delle proposte del ministro che sull’atteggiamento che l’Italia dovrebbe tenere nei confronti della Germania sui temi della riforma della zona euro. In breve Scholz ha fatto qualche timida apertura sul completamento dell’Unione bancaria e in particolare sull’introduzione di un meccanismo europeo di assicurazione sui depositi. Tema su cui finora la Germania aveva tenuto una posizione di netta chiusura. La nuova posizione ammette la possibilità di un graduale passaggio a un meccanismo europeo, ma ribadisce la necessità che i paesi considerati più a rischio (Italia in testa) facciano di tutto per ridurre il rischio (in pratica ridurre il debito pubblico e ridurre la massa di crediti deteriorati nei bilanci delle banche). Solo dopo una riduzione del rischio sarà possibile condividere il rischio, per esempio, appunto, tramite l’istituzione di un meccanismo di assicurazione dei depositi.

 

L’accoglienza italiana, sia del governo sia di molti commentatori è stata piuttosto fredda, pur riconoscendo il tentativo tedesco di fare dei progressi. In particolare il governo respinge, giustamente, la richiesta (non solo tedesca) di introdurre una ponderazione per il rischio paese sui titoli pubblici detenuti dalle banche. Si tratta di una richiesta sul tavolo da qualche anno e che viene avanzata a volte in modo strumentale per cercare di forzare una riduzione del debito nei paesi dove è troppo alto. Intendiamoci, il debito italiano è troppo alto e soprattutto ha ripreso a crescere dopo che nel 2016 si era stabilizzato e poi aveva cominciato a calare. Questa necessaria riduzione richiede una politica di bilancio che si basi su più crescita, surplus primari più elevati e, nel medio periodo, un “safe asset” europeo, un titolo sicuro che permetta, anche alle banche, di diversificare i loro investimenti in titoli.

 

Al di là di questi aspetti, occorre chiedersi perché la Germania abbia deciso di avanzare queste proposte. Nel dibattito sono emerse due posizioni. La prima è che la Germania voglia rafforzare l’Unione bancaria perché teme per la solidità delle sue banche, in particolare Deutsche Bank e Commerzbank, i due istituti principali. La seconda ragione è che la Germania si sente sotto attacco sul piano della sua politica di bilancio e quindi vuole spostare l’attenzione su altri terreni. Da tempo, infatti, viene chiesto alla Germania di utilizzare lo spazio fiscale di cui dispone per accrescere gli investimenti pubblici, di cui ha bisogno, con evidenti benefici per la Germania e per gli altri paesi dell’unione monetaria. Questa posizione viene invece rigettata sia dal governo tedesco che, tra gli altri, dagli istituti indipendenti, sia per ragioni economiche che di ordine politico (per esempio perché tale richiesta viene avversata dai gruppi sovranisti tedeschi).

 

Nel frattempo è esplosa in Italia la polemica sull’approvazione del trattato sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes), uno strumento di sostegno e intervento per la gestione delle crisi nell’Eurozona. Approvazione formale di un testo, negoziato dal governo passato, che rappresenta un oggettivo miglioramento rispetto a versioni precedenti, che erano di chiaro sapore rigorista e punitivo nei confronti dell’Italia, e che prevedevano un ricorso alla ristrutturazione del debito in base a criteri meccanici e quindi molto pericolosi. Malgrado tali miglioramenti l’eventuale combinazione di un dispositivo (il Mes) che, giustamente, richiama alla necessità della sostenibilità del debito pubblico ma che lascia margini di ambiguità sulla valutazione della sostenibilità medesima, con la richiesta tedesca di un diverso trattamento dei titoli sovrani nei portafogli delle banche, comporta il rischio che situazioni di fragilità si autoalimentino e vadano fuori controllo. Sarebbe opportuno allora che la proposta di riforma del Mes fosse integrata da altre componenti di un pacchetto per la stabilità dell’Eurozona che includa, tra l’altro, l’introduzione di un “safe asset” europeo. Come è opportuno, anzi necessario, che l’Italia eviti di trovarsi nelle condizioni di dovere chiedere l’intervento del Mes. In altri termini, la vera questione sul tavolo è la necessità di una gestione della finanza pubblica che possa conciliare crescita e discesa del debito pubblico.