Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte assieme al ministro dell'Economia Roberto Gualtieri (foto LaPresse)

Anche l'Italia vale

Pier Carlo Padoan

Vademecum per tagliare lo spread e dimostrare che non siamo da meno rispetto agli altri paesi europei

Lo spread da qualche giorno sembra avere invertito la tendenza alla discesa che lo aveva caratterizzato dalla formazione del nuovo governo. Inversione che ha portato al sorpasso da parte della Grecia. Si era trattato di una discesa che aveva permesso di risparmiare alcuni miliardi al bilancio dello stato. Oggi questa importante fonte di risorse rischia di essere messa in discussione. Cosa è successo? Per provare a rispondere occorre richiamare quali sono i fattori che determinano la differenza tra gli interessi sui titoli di stato italiani e i tassi di altri paesi. Con qualche semplificazione possiamo identificare tre componenti: a) il rischio di ridenominazione; b) il rischio politico; c) i fondamentali. Il primo fattore riguarda il rischio che l’Italia esca dall’euro ed è stato un fattore importante quando era realistica la possibilità di un governo a orientamento sovranista in grado di avviare un “piano B” che contemplasse, appunto, l’uscita dall’unione monetaria. Il secondo fattore riguarda la credibilità e la stabilità del governo. Il terzo ha a che vedere con i fattori di fondo che guidano l’economia, in particolare la sua capacità di crescere in modo sostenibile e sostenuto. E’ chiaro che il primo e il secondo fattore sono essenzialmente determinati dal quadro politico, mentre il terzo riguarda l’efficacia di misure destinate a incidere in modo duraturo sulla crescita potenziale, in primo luogo le riforme strutturali. 

 

Diventa chiaro inoltre cosa debba fare un paese che voglia aumentare le risorse a sua disposizione tramite una caduta dei pagamenti per interessi sul debito pubblico. Deve escludere, in modo definitivo, l’uscita dall’euro come “soluzione” ai suoi problemi. Deve presentare un programma di politica economica che renda compatibili crescita e sostenibilità di bilancio, oltre che inclusione sociale. E, infine, lo deve implementare per aumentare veramente la crescita. Lo spread dell’Italia nei confronti della Germania è sceso visibilmente negli ultimi mesi. Ma la domanda da porsi è: può scendere ancora? Di quanto? Lo spread del nostro paese è maggiore di 130 punti dello spread della Francia e del Belgio, di 100 punti dello spread del Portogallo, di 90 punti dello spread della Spagna. Negli ultimi giorni, come detto, è stato superato dalla Grecia. Cosa hanno questi paesi in più rispetto al nostro? Le riposte sono diverse. La Spagna non è politicamente più stabile. Ma è cresciuta di più, e continua a farlo, grazie anche a mercati del lavoro più flessibili e alla capacità di aggiustare rapidamente un sistema bancario fortemente colpito dalla crisi finanziaria, prima che entrasse in vigore una legislazione europea molto più restrittiva in tema di gestione delle banche in difficoltà. Anche il Portogallo cresce più dell’Italia. Grazie a un’economia aperta agli scambi internazionali e a una competitività molto accentuata. Inoltre, grazie anche a una politica di bilancio accorta, la crescita ha permesso un risanamento molto rapido della finanza pubblica.

 

La Francia cresce un po’ più dell’Italia, gode di una robusta valutazione di mercati e agenzie di rating e di un sistema industriale robusto e aperto all’innovazione. I mercati finanziari non hanno mai messo in discussione la sostenibilità della finanza pubblica di Parigi, malgrado un deficit spesso più alto del nostro. Rimane vero, peraltro, che la Francia rimane indietro su terreni di riforma fondamentali, primo fra tutti quello della previdenza e del welfare. Il Belgio, infine, ha adottato, senza clamore, una decisa politica di riduzione del debito che non ha comportato tagli alla crescita. Quello che questi paesi hanno in comune (ma anche parecchi altri nella moneta unica) è una crescita più elevata e più duratura della nostra. Una crescita che riflette fondamentali forti, misure strutturali prese in passato e che oggi stanno dando frutti e una politica di bilancio accorta. Se l’Italia crescesse un punto percentuale in più ogni anno, non solo gli italiani avrebbero più occupazione e più reddito, ma anche meno debito. In un quadro del genere la valutazione dei mercati sarebbe decisamente più positiva e i benefici in termini di interessi più bassi sarebbero tangibili. Cosa richiede una strategia per la crescita? Misure strutturali e agevolazioni per gli investimenti privati, investimenti pubblici efficaci, certezza del diritto e delle regole, e una gestione della politica che sia in grado di fare scelte lungimiranti, dare fiducia sul mantenimento di un orizzonte temporale pluriennale, senza il quale nessuna impresa vorrà impegnare le proprie risorse. Convincere mercati e istituzioni che l’Italia vale come e più di altri paesi in Europa è possibile. Dipende da noi.

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