Prego che tutto torni come prima, tranne il Dito di Cattelan

Camillo Langone

Non chiedo che sia distrutto, ma che sia spostato da Piazza Affari, messo all'asta e che il ricavato sia girato ai licenziati delle aziende quotate in Borsa

Prego che molto torni come prima ma non tutto perché qualcosa è bene che cambi e qualcosa è giusto che sparisca: il Dito di Maurizio Cattelan in piazza degli Affari a Milano, ad esempio. L’osceno dito medio in marmo di Carrara, rivolto alla Borsa e dunque all’economia italiana, è il relitto di una stagione di pauperismo d’alto bordo (venne inaugurato da Letizia Moratti!), il simbolo pessimo massimo della derisione anti industriale, il gesto di un sarcasmo insultante allora, insopportabile oggi. Sui soldi non è proprio più possibile sputare, in Italia. Non chiedo che sia distrutto (credo nella libertà di espressione), chiedo che sia spostato. Sottratto a quel contesto, da monumento diventerà documento. Chiedo che venga messo all’asta e aggiudicato al collezionista che vorrà conservare nel proprio giardino la testimonianza di un’epoca idiota di “ironia nichilizzante” (Vladimir Jankélévitch) e chiedo che il ricavato sia girato ai licenziati delle aziende per l’appunto quotate in Borsa. E che al suo posto venga messa una lapide con questa scritta a perenne monito: “Homo sine pecunia imago mortis”.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).