l'intervista

Tajani: “Bisogna evitare la politicizzazione del caso Salis”

Gianluca De Rosa

Per il ministro degli Esteri è necessario abbassare i toni per cercare di aiutare l'insegnante detenuta in Ungheria. Botta e risposta tra Roberto Salis e il governo di Budapest

“Trasformare la vicenda Salis in una vicenda di tipo politico non aiuta la concessione degli arresti domiciliari a Ilaria e il suo possibile ritorno in Italia. Se la questione diventa uno scontro con Orbán tutto si fa più difficile”. Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri, è ancora convinto che per aiutare Ilaria Salis la soluzione migliore sarebbe quella di abbassare i toni e lasciare fare, con più silenzio, la diplomazia. A sentire le parole del portavoce del governo ungherese, Zoltan Kovacs, si direbbe che la situazione sia  già  precipitata. “Dobbiamo chiarire che nessuno dovrebbe vedere l’Ungheria come un ring di pugilato dove pianificare di picchiare qualcuno a morte. Nessuna richiesta diretta da parte del governo italiano a quello ungherese renderà più semplice difendere la causa di Salis, perché il governo, come in qualsiasi altra democrazia, non ha alcun controllo sui tribunali”, ha detto Kovacs parlando anche del “giro dei media europei” fatto dal padre di Ilaria, Roberto Salis, per denunciare la vicenda. Proprio il papà dell’insegnante 39enne detenuta a Budapest da 13 mesi ha subito replicato: “In Ungheria il verdetto lo hanno già emesso, lì c’è una spiccata tendenza alla tirannide”. Insomma, la politicizzazione del caso sembra ormai quasi irreversibile. Purtroppo non solo in Italia. “Se i parlamentari della sinistra vanno ad assistere al processo in Ungheria è chiaro che si amplifica questa cosa, francamente non aiuta il nostro lavoro”, sostiene Tajani. Anche l’ipotesi valutata al Nazareno di candidare Salis nelle liste dem per le europee non lo convince: “Queste iniziative politiche raramente portano a risultati positivi e anzi rischiano di inasprire lo scontro con le autorità ungheresi,  non è quello che serve in questo momento”. Alla Farnesina, non è un segreto, c’è molto scetticismo anche sul dinamismo del padre di Salis, considerato tanto comprensibile quanto dannoso, come dimostrato proprio dal botta e risposta di ieri con il portavoce del governo di Budapest. 


Non c’è dubbio comunque che la questione agiti anche Palazzo Chigi. Durante il Consiglio europeo dello scorso 31 gennaio era stata proprio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a raggiungere all’Hotel Amigo di Bruxelles Orbán per cercare una soluzione diplomatica alla vicenda e chiedere almeno di non permettere più che Salis arrivasse in aula con i ceppi ai piedi e il guinzaglio. Una decisione, questa, che spetta all’amministrazione penitenziaria ungherese, e dunque al governo, sulla quale insomma Orbán aveva voce in capitolo. Ma anche giovedì scorso, quando il tribunale di Budapest ha respinto la richiesta dei domiciliari, l’insegnante è stata portata così in aula. “E’ inaccettabile – dice Tajani – che una detenuta in attesa di processo sia condotta in manette alle mani e piedi in aula, su questo  abbiamo protestato molte volte”. Ma proprio quel trattamento, ne è convinto il vicepremier, dimostrerebbe la sua tesi: esacerbare lo scontro politico con Orbán non porterà a migliorare le condizioni di detenzione della 39enne né a riportarla in Italia. Anzi. Il caso Salis è appunto un caso anche in Ungheria. Orbán è in difficoltà. Nel paese cresce la forza elettorale del movimento Mi Hazánk Mozgalom, un partito nazionalista radicale che è pronto a superarlo a destra e, in vista delle europee, a fargli pagare qualunque cedimento all’Italia. Eppure dove c’è silenzio e la diplomazia riesce meglio a lavorare l’Italia qualcosa lo ha già ottenuto. “Abbiamo fatto tutto ciò che si poteva. La nostra ambasciata ha fatto un lavoro straordinario”, dice Tajani.  I contatti costanti tra l’ambasciatore italiano e l’amministrazione penitenziaria ungherese in effetti avrebbero sortito alcuni effetti: a Salis sarebbe stato concesso un telefono per effettuare chiamate a una serie di numeri, parlando fino a settanta minuti alla settimana con famigliari e amici e per un tempo illimitato con l’ambasciata. Ma le sarebbero state concesse anche due visite mediche e la possibilità di una nuova dieta “in bianco” a base di riso, pesce, pollo e patate bollite che l’insegnante italiana aveva richiesto.


Per questa ragione, nonostante la telefonata del presidente della Repubblica Sergio Mattarella al padre dell’insegnante 39enne per manifestargli la propria solidarietà, sottolineando la differenza tra il sistema giudiziario italiano e quello ungherese, il ministro degli Esteri continua a predicare la linea dell’“abbassiamo i toni”. “Mi auguro che le parole del capo dello stato servano a convincere  di più di quello che ho fatto io e di quello che ha fatto il presidente del Consiglio”, dice con un certo scetticismo. 
 

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