L'editoriale del direttore

In Abruzzo si issa la bandiera bianca dei populisti

Claudio Cerasa

I partiti più irresponsabili (anche su Kyiv) sono i più puniti alle urne. Il destino incrociato di Lega e M5s  

Vince la destra, perde la sinistra, fatica il centro, sorride Meloni, se la ride Tajani, non piange Schlein, non soffre il governo, non muore il campo largo e tutto sommato, per il voto che due giorni fa ha premiato il governatore uscente Marco Marsilio, in tanti possono festeggiare. Tutti tranne due: Giuseppe Conte e Matteo Salvini. Le elezioni regionali, lo sapete, valgono quello che valgono. Ma se c’è un dato interessante che merita di essere isolato dal voto abruzzese, quel dato riguarda un elemento ormai ricorrente nella politica italiana: più giochi con l'estremismo e più gli elettori tenderanno a tenere il proprio voto lontano da te. Nel caso specifico, il Movimento 5 stelle e la Lega sono i partiti che hanno più patito il voto in Abruzzo. Il M5s ha ottenuto il 7 per cento, la Lega il 7,5 per cento. Rispetto alle regionali di cinque anni fa, la Lega di voti ne ha persi 121.192, il M5s 77.658. Forza Italia, invece, di voti ne ha guadagnati circa 23 mila, il Pd 50 mila, FdI centomila. Due settimane fa, in Sardegna, altre percentuali allarmanti: il M5s, pur avendo espresso il candidato risultato vincente, Alessandra Todde, si è fermato al 7,8 per cento, mentre la Lega è crollata al 3,7 per cento.

 

 

La divisa gialloverde, che imbrigliò l’Italia tra il 2018 e il 2019, oggi semplicemente non si porta più. E ogni volta che gli elettori ne hanno la possibilità sono lì a ricordare ai leader politici che più i partiti si spostano verso gli estremi e meno quei partiti risultano essere accattivanti. Il dato è insieme interessante e incoraggiante. Lo è per il centrodestra perché dimostra a Giorgia Meloni che alternative alla sua svolta mainstream non ce ne sono (e difficilmente ce ne saranno dopo le europee) e perché dimostra che l’unico spazio politico che potrebbe esistere nel mondo dei conservatori non è quello che cerca di occupare Matteo Salvini schierando la Lega verso la destra estrema (modello Vannacci) ma è quello che cerca di occupare sul fronte opposto, più ragionevole, meno isterico, più moderato si sarebbe detto un tempo, la sorprendente Forza Italia di Antonio Tajani, che ha doppiato la Lega in Abruzzo dopo essere andata vicino a farlo anche in Sardegna. Da questo punto di vista, un segnale a suo modo allegro arriva dall’Abruzzo anche per il centrosinistra, dove le proporzioni tra i partiti sono incoraggianti in vista del futuro. L’alternativa al centrodestra, lo sappiamo, si presenta ancora oggi come un’accozzaglia litigiosa, frammentata e rissosa ma la foto che emerge dei partiti di centrosinistra è una foto che può offrire alla coalizione che oggi non c’è di esserci un domani. Un centrosinistra desideroso di aggregare tutto ciò che orbita nel campo alternativo a quello del centrodestra (a sinistra e al centro) deve necessariamente avere un Pd più forte del M5s. In Sardegna il Pd ha doppiato il M5s (13,8 contro 7,8). In Abruzzo lo ha triplicato (20,2 contro 7,1). Lezioni semplici dunque. Al governo, inseguire Salvini, e la sua destra a metà tra il generale Vannacci e l’ex presidente Trump, non solo è una sciocchezza ma non porta voti. All’opposizione, allo stesso tempo, inseguire Conte non solo snatura il Pd, non solo trasforma i democratici in una costola del grillismo, ma non porta consensi, e compito del Pd sarà quello di costruire con il M5s non solo un campo largo all’interno del quale muoversi in occasione di un voto importante ma anche una strategia per mostrarsi alternativo e competitivo non solo a Meloni ma anche a Conte.


L’estremismo non paga, l’essere mainstream non dispiace, lo spazio al centro è più vivace del previsto e il dato curioso e finale che emerge dalle elezioni abruzzesi è che ad alzare bandiera bianca, alle urne, sono stati gli stessi partiti che a livello nazionale hanno provato a guadagnare consensi anche provando a portare avanti la stessa strategia della bandiera bianca suggerita da Papa Francesco sull’Ucraina. La bandiera bianca dell’Ucraina è un incubo, quella del populismo no. Viva l’Abruzzo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.