Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Reddito 2.0

Di Maio pensa a riformare il reddito di cittadinanza per salvarlo da Renzi. La nuova sfida con Conte

Valerio Valentini

È l'ultimo passo del ministro degli Esteri verso il grillismo riformista, per smarcarsi dalle intemerate identitarie e dall'ombra dell'ex premier

Gli addetti al marketing della politica che bazzicano tra la Farnesina e dintorni, la soluzione l’avrebbero già trovata: bisognerebbe chiamarlo “tagliando”, o meglio ancora, che di questi tempi fa cool, “reddito due punto zero”. La sostanza, comunque, è che Luigi Di Maio vorrebbe cambiare strategia: e dunque, anziché ergersi a protezione del sacro totem nell’attesa che arrivino i profanatori del tempio, provare a giocare d’anticipo, a spiazzare gli avversari. Insomma il reddito di cittadinanza potrebbe essere migliorato, si sono sentiti dire, dal ministro degli Esteri, i parlamentari a lui più vicini.

 

Un miglioramento, a giudizio di chi con Di Maio si confronta sulle questioni economiche, che dovrebbe avvenire in due fasi. La prima riguarda la riforma delle politiche attive, avanzando proposte che in qualche modo possano scacciare l’ombra lunga del fallimento di Mimmo Parisi e della sua scriteriata gestione dell’Anpal, che durante i due governi Conte aveva dimostrato tutta la sua inefficienza ben prima che l’imbarazzo sui voli in business class tra Roma e il Mississippi con annessi rimborsi spese assai poco “francescani” arrivasse a sancire l’impresentabilità del professore “italopugliese”, nonché “papà dei navigator”. Lo spazio per intervenire ci sarebbe: almeno di qui a ottobre, quando il dossier a cui sta lavorando la commissione istituita dal ministro Andrea Orlando e coordinata dalla professoressa Chiara Saraceno dovrà essere redatto, in tempo per la legge di Bilancio che verrà. E forse proprio per essere stato quello che più s’era sforzato di crederci, nelle miracolose potenzialità del Reddito di cittadinanza e nella sua capacità di “abolire la povertà”, ora Di Maio è convinto che, per evitare che quello strumento finisca nel contenzioso politico, si dovrebbe renderlo più appetibile proprio agli occhi di chi più lo contesta: e cioè alle piccole e medie imprese.

 

Ed è così che, tra le misure a cui si sta pensando, c’è anche quella di limitare la facoltà di rifiutare le offerte di lavoro da parte dei percettori del reddito, dando però loro la possibilità di continuare a usufruire del bonus come una sorta di integrazione salariale. Poi c’è l’altro aspetto: quello dei controlli. Anche qui, ci sarebbe bisogno, a giudizio di chi sta vicino a Di Maio, di un rafforzamento degli strumenti di verifica, per evitare che i noti casi di abuso, per quanto limitati, finiscano col diventare il facile pretesto nelle mani di chi vuole rottamare la riforma.

 

Dettagli, in ogni caso. Perché poi il sugo della storia è tutto politico, e sta nella volontà di Di Maio di accreditarsi, com’è già avvenuto sul tema della giustizia, come il volto dialogante del M5s, come l’esponente di un grillismo riformista (absit iniura verbis) che rinuncia alle intemerate identitarie. Smarcarsi insomma dall’ombra di Conte, ancora una volta, sapendo che del resto l’ex premier ha in mente un diverso schema di gioco. Perché, dopo aver ottenuto da Mario Draghi la conferma che al momento le priorità sono ben altre che non la revisione degli strumenti di sostegno al reddito, l’avvocato di Volturara ha scelto d’intestarsi il merito di chi difende una conquista che al momento nessuno potrebbe davvero mettere in discussione nella sua totalità.

 

La scommessa di Di Maio, al contrario, è quella di chi sa che il Pd non rinuncerà a proporre dei miglioramenti del reddito di cittadinanza, se è vero che perfino il responsabile economico del Nazareno, Antonio Misiani, s’è incaricato di raccomandare al M5s di deporre ideologia e capricci: “Né conservazione, né arroccamento”, ripete il senatore dem. E qui sta il punto, secondo Di Maio: giocare di sponda col Pd per comporre un fronte comune tra quanti s’oppongono alle picconate di Renzi e Salvini, e ai loro disegni di abolire lo strumento simbolo del Movimento, non urlando alla lesa maestà, ma rilanciando sul tavolo della mediazione: “Altroché abrogarlo, piuttosto potenziamolo”, è il verbo del ministro degli Esteri. Convinto d’altronde che dare al M5s un nuovo traguardo da conquistare, anziché condannarlo nel ruolo di chi difende successi - veri o presunti - già ottenuti, sarebbe anche il modo migliore per rimanere a galla, per ritrovare una ragione d’esistere che non sia il mero sopravvivere.
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.