"Giuseppe, così rompiamo". "Ma no, Luigi. Con Draghi va bene". La cena della pace tra Conte e Di Maio

Valerio Valentini

Dopo il Cdm della discordia, la riconciliazione all'Arancio d'oro. Al tavolo, oltre all'ex premier e al ministro degli Esteri, anche Patuanelli e Olivia Paladino. E' il momento del chiarimento, dopo la telefonata di fuoco del pomeriggio. "Io i miei rivali li prendo per sfinimento", sorride Conte

Sui primi hanno preferito tutti soprassedere, ché la giornata era già stata pesante ed esigeva ancora il suo carico di fatica. Meglio un secondo di pesce, per stare leggeri. Vino bianco, ma senza esagerare. Eccoli allora, intorno allo stesso tavolo, i tre volti del grillismo di governo, tutti e tre diversamente reduci dalla stessa pena, l’abiura sulla “Spazzacorrotti”. Eccoli Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Stefano Patuanelli. Ed ecco anche, Olivia Paladino, già  première dame ma sempre discreta, unitasi al trio perché tanto il ristorante scelto, l’Arancio d’Oro, era proprio lì, a metà strada tra il Grand Hotel di famiglia e la casa di via Fontanella Borghese che lei condivide col suo Giuseppe. Calamari alla griglia, pesce spada: il menu per la riconciliazione.

 

Che serviva, eccome, dopo le ore concitate appena vissute, dopo quella telefonata, avvenuta quando tutto sembrava precipitare, in cui Di Maio aveva fulminato il suo interlocutore: “Ma allora dillo, Giuseppe, che non vogliamo trovare un accordo”. E in effetti l’impressione sembrava abbastanza condivisa, a Palazzo Chigi, se è vero che perfino Andrea Orlando, di fronte all’estremo recalcitrare del fu avvocato del popolo, aveva voluto, pure lui, incalzarlo al telefono: “Stai facendo un grosso errore”.

 

Ma lo sbaglio che gli altri gli attribuivano, quel suo continuo rilanciare, era invece per l’ex premier l’unica tattica per non capitolare: “Sapete come faccio, no? Li prendo per sfinimento, i miei rivali”, spiegherà poi, a cena. E forse è anche per questo che giovedì, dopo mediazioni interminabili, al riprendere del Cdm, poco prima delle 18, la delegazione grillina comunicava a Draghi che no, “ci spiace, ma non possiamo votare questa riforma”.

 

Sulla linea dell’astensione, del resto, s’erano schierati quasi tutti i deputati della commissione Giustizia della Camera convocati al conclave di poche ore prima, e insieme a loro il capogruppo del Senato Ettore Licheri e buona parte dei ministri. Gli unici scettici, oltre a Davide Crippa, erano stati Federico D’Incà e appunto Di Maio. Che aveva preso la parola per spiegare il motivo per cui, a suo avviso, era il caso di accontentarsi (“Abbiamo già ottenuto molto”) e di non spingersi oltre. E allora, tornati a Palazzo Chigi, toccava a Roberto Garofoli, insieme a Marta Cartabia, proporre un nuovo punto di mediazione. D’accordo, per i reati con aggravanti mafiose sarà concessa una possibile proroga di un anno. E sembrava già molto. Solo che quando i grillini hanno consultato Conte per avere il via libera, lui s’è messo di traverso: “No, almeno due anni”. Ed è stato a quel punto che Di Maio è intervenuto in prima persona.

 

“Però visto? Alla fine i due anni li abbiamo ottenuti”, rivendicherà a cena Conte. Provando a convincere Di Maio, e riuscendoci solo in parte, della bontà della sua condotta. “Io non voglio rompere, Luigi, ma in questo governo dobbiamo starci a certe condizioni”, ha insistito l’ex premier prima del digestivo di commiato, spingendosi fino a vederci del buono, nel caos. “Anche questa trattativa ha consentito a me e Draghi di aprire un canale stabile di comunicazione, e vi garantisco che i rapporti sono assai meno ostili di quanto si legge. Se in fondo abbiamo ottenuto questi miglioramenti, vuol dire che anche il premier ritiene ragionevoli molte nostre proposte”. E Di Maio ascoltava, ribattendo qua e là. E Patuanelli mediava, ma quasi sempre assecondando i ragionamenti di Conte (“Su alcuni temi, visti i rapporti di forza, credo anche io che sia necessario tenere duro. D’altronde Giorgetti, che in Cdm s’è lamentato per il fatto che alla Lega sulle riaperture non venne concesso nulla, dimostra che abbiamo fatto bene, senza contare che lui voleva togliere il coprifuoco a marzo”). Un pensiero di solidarietà, da parte nostra, non può che andare alla povera Olivia Paladino. Che magari, sventurata, sperava di godersi solo una cena a due passi da casa.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.