il retroscena

Sulla riforma della Giustizia Draghi disinnesca Conte e archivia Bonafede

La mediazione arriva nel pomeriggio, dopo un Cdm surreale costretto a procedere a intermittenza. I giudici di Appello e Cassazione potranno, per i reati di mafia e terrorismo e solo in caso di processi particolarmente complessi, chiedere una proroga dei tempi

Valerio Valentini

Il leader del M5s tenta l'imboscata e stacca pure il telefono. Il premier media, e fa asse con Di Maio. La persuasione del vice leghista Giorgetti: "Non cadiamo nella provocazione grillina". Il Pd festeggia ma sbuffa: "Caro Giuseppe, noi stiamo con Draghi"

A guardarla con gli occhi di chi a Palazzo Chigi ha gestito i lavori, il sugo della storia è soprattutto questo: che a meno di sei mesi dalla nascita del governo, il M5s rinnega la sua riforma e la battaglia in nome della quale accettò di far naufragare il governo precedente. E dunque a vederla sotto questa luce, nella prospettiva di chi, come Mario Draghi, è abituato a giudicare i processi sul lungo periodo, tutto il resto appare abbastanza irrilevante. Compresa la sceneggiata recitata dal M5s, che per l’intera giornata ha stravolto la grammatica istituzionale e perfino la logica dei rapporti di forza, se è vero che a un certo punto, a metà pomeriggio, quando tutto sembrava precipitare verso il caos anche davanti al Nazareno c’era chi scuoteva la testa. “I grillini sappiano che tra l’alleanza con loro e il sostegno a Draghi per tirare fuori l’Italia dalla crisi - sentenziava Lia Quartapelle, esponente della segreteria del Pd - non abbiamo dubbi scegliamo Draghi e l’Italia”. E forse è stata anche la consapevolezza dell’inconsistenza della minaccia paventata dai suoi rivali di giornata, l’evidenza dell’impossibilità per Giuseppe Conte di spingersi davvero fino alla rottura, che ha indotto Draghi alla calma. “L’intesa si troverà”, predicava cautela il premier davanti ai ministri di Forza Italia, che intanto ricevevano anche le rassicurazioni un po’ alienate di Luigi Di Maio.

 

Del resto il ministro degli Esteri il suo scetticismo rispetto alla linea dell’oltranzismo scelta da Conte lo aveva esternato fin dal mattino, cedendo anche lui al sospetto che la tattica del fu avvocato del popolo mirava in effetti a negare la possibilità di un compromesso. “Luigi, state cercando un pretesto per l’incidente, non un punto di caduta”, gli rimproverano i ministri azzurri. “Ma no, ma no, se ci si viene incontro una quadra la si trova”, replicava lui. E insomma, mentre Conte convocava in conclave i suoi ministri costringendo tecnici e politici a passeggiare avanti e indietro per i corridoi di Palazzo Chigi in attesa di Godot,  la diplomazia della distensione si attivava proprio per convincere tutti gli altri ministri a non cedere in tentazione, a non assecondare  le escandescenze del grillismo. Un’opera di persuasione in cui si spendeva, dall’altro capo del tavolo, anche Giancarlo Giorgetti. Che, ristabilendo una vecchia corrispondenza di sguardi e di sottintesi col capo della Farnesina,  imponeva alla sua truppa la calma (“Se cadiamo nella provocazione di Conte, facciamo il suo gioco”), per poi accostare i colleghi del Pd col tono di chi stuzzica (“Ma voi non dite nulla?”) e infine offrendo, come sacrificio negoziale, la rimozione di alcune impuntature leghiste delle ultime ore.

 

E certo l’imbarazzo ha ceduto più volte il passo all’insofferenza. Perché appena ricevuta la bozza redatta dai tecnici di Marta Cartabia, e aggiornata con le richieste fatte pervenire dallo staff di Conte a Via Arenula non più tardi di mercoledì, Stefano Patuanelli faceva sapere (“Ma era stato concordato”, spiegheranno poi i grillini) che doveva analizzarla col giurista di Volturara. E allora in lenta processione la delegazione grillina s’è recata alla Camera, dove Conte è rimasto asserragliato tutto il giorno coi suoi consulenti della comunicazione, il manipolo di duropuristi della commissione Giustizia di Montecitorio e i due capigruppo, il più morigerato Davide Crippa e il sempre esagitato Ettore Licheri, che a un certo punto suona la carica: “Vai Giuseppe, sappi che su questa battaglia noi senatori ti seguiremmo fino in fondo, qualunque cosa tu decidessi”.

 

Solo che, nel concreto, cosa volesse decidere Conte, non era facile capirlo. E così, dopo un confronto che procedeva intermittente tra Palazzo Chigi e l’aula Siani di Montecitorio, a un certo punto perfino capire se era il caso di ordinare il pranzo oppure no è diventata un’incognita, per chi stava intorno a Draghi. Specie perché, dopo che il Cdm era stato aggiornato alle 14, i grillini non tornavano più, e Conte aveva perfino staccato il cellulare. E allora di nuovo Draghi a chiedere calma e sangue freddo, di nuovo una triangolazione del premier col vicesegretario leghista e con Di Maio per scongiurare il tracollo della mediazione. Che infine arriva, passate le sei del pomeriggio, sotto forma di minimo sindacale. Perché infatti le correzioni accordate dalla Cartabia prevedono che per i reati legati a mafia, terrorismo e violenza sessuale, “i giudici di Appello e  Cassazione - precisa una nota di Palazzo Chigi - possano con ordinanza, motivata e ricorribile in Cassazione, disporre l’ulteriore proroga del periodo processuale in presenza di alcune condizioni riguardanti la complessità del processo, il numero delle parti e delle imputazioni o per la complessità delle questioni di fatto e di diritto”. Quanto ai reati con aggravanti mafiose, ovvero l’estremo miglio che il M5s ha voluto percorrere prima di acconsentire all’intesa, “la proroga può essere disposta per non oltre due anni”. Eccola, la vittoria  del grillismo.

 

Un risultato a cui Conte prova ad aggrapparsi senza neppure troppa convinzione, quando dice che “non è la nostra riforma, ma l’abbiamo comunque migliorata”,  dovendo poi incassare anche la frecciata di quell’Andrea Orlando che plaude al superamento della “irragionevole norma Bonafede”. Che è poi, in fondo, quel che Draghi voleva. E che voleva fare entro l’inizio di agosto.

 

Cosa che avverrà perché, forse con una punta di malizia, a Palazzo Chigi hanno preteso che sì, i tempi concordati venissero rispettati. Per cui già nella tarda serata di ieri il testo della riforma è arrivato in commissione Giustizia alla Camera, chiamata a un’approvazione rapida che consentirà di arrivare al voto dell’Aula già nella giornata di domenica. E i deputati costretti a tornare in tutta fretta dalle loro città, o magari dalle spiagge, sapranno chi ringraziare. 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.