Coronavirus, Conte a Palazzo Chigi in videoconferenza con i leader europei (foto LaPresse)

L'ora di un nuovo patriottismo italiano

Claudio Cerasa

La pandemia è uno stress test sul carattere del paese. E c’è da essere orgogliosi

Adattarsi senza frignare troppo. Fare sacrifici senza farli pesare. Essere ragionevoli senza troppe isterie. Si è detto ripetutamente che il prepotente ingresso del coronavirus nelle vite di ciascuno di noi ha avuto sull’Italia lo stesso effetto di un gigantesco stress test, relativo non solo alla tenuta della nostra economia ma anche alla tenuta delle nostre istituzioni, della nostra società, della nostra spesa pubblica, del nostro sistema sanitario, della nostra Europa, della nostra classe politica, del nostro stato di diritto e più in definitiva della nostra democrazia.

 

 

I risultati di questi stress test sono spesso misurabili attraverso termometri diversi – il livello dello spread, il collasso delle Borse, gli interventi della Commissione, il contenuto dei decreti, il contenimento delle rivolte nelle carceri, il numero di posti disponibili nelle terapie intensive – che indicano in modo più o meno veritiero la capacità di resistenza del nostro paese. Ma accanto a questi stress test, il cui esito è visibile a occhio nudo, ce ne sono altri più sottili che si stanno svolgendo in queste ore e che hanno a che fare con una questione più profonda che nessun termometro può misurare con esattezza e che riguarda quello che forse è il vero tema dei temi: il carattere degli italiani. In giro per il mondo, c’è chi osserva quasi con ironia le misure drastiche adottate dal nostro governo, c’è chi infierisce sulla difficoltà con cui gli italiani accettano di comportarsi per qualche giorno come se fossero agli arresti domiciliari e c’è chi sostiene che il problema di una democrazia come l’Italia sia quello di non avere un sistema politico capace di fare quello che riesce più facilmente a una dittatura come la Cina, responsabile della diffusione di una pandemia come ha indirettamente riconosciuto ieri l’Oms, ovvero prendere decisioni relative alla salute pubblica utilizzando la limitazione permanente della libertà presente nel proprio paese.

 

 

Ma più si osserva in giro per il pianeta il modo in cui diversi paesi hanno scelto di governare la pandemia (alcuni sottovalutando il problema, altri negando il problema, altri decidendo di mettere la tutela dell’economia su un piedistallo più alto della tutela della salute) e più si avrà l’impressione che in giro per il mondo è davvero difficile trovare un paese come l’Italia che è riuscito per la seconda volta nel giro di dieci anni a trovare lo spirito per mettere in campo una sorta di unità nazionale, che è riuscito a trasformare in ragionevoli anche gli irragionevoli, che è riuscito a far sembrare dei piccoli Churchill anche i suoi piccoli Chamberlain, che è riuscito a dare fiducia agli esperti dopo avergliela negata per anni e che è riuscito a fare dell’assunzione di responsabilità il collante di un nuovo formidabile patriottismo. Non si tratta di essere orgogliosi dello stato in cui si trova oggi il nostro paese, che è uno stato che non auguriamo neppure ai nostri peggiori nemici, ma si tratta di essere consapevoli che l’Italia in queste ore sta dando il suo meglio, che la richiesta di responsabilità da parte di chi ci governa è una richiesta che non rientra nella categoria delle grida manzoniane e che quando la pandemia finirà, dopo esserci leccati le molte ferite che avremo (solo ieri ci sono stati 196 morti), potremmo guardarci indietro e dire con forza che l’Italia è stata un modello e che tutto quello che andava fatto è stato fatto, whatever it took, senza aver trasformato, come avrebbe voluto qualcuno, l’Italia in una dittatura. Adattarsi senza frignare troppo. Fare sacrifici senza farli pesare. Essere ragionevoli senza isterie. Per il resto, stare a casa, chiudere ciò che che si può chiudere non fare stupidaggini e incrociare le dita.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.