Luca Zaia (foto LaPresse)

“No alla psicosi”. Il sistema Zaia alla prova dell'emergenza sanitaria

Marianna Rizzini

I “consigli” del governatore a Luigi Di Maio, i toni non salviniani, il “triumvirato di assessori” e la rete di sindaci e imprese

Roma. “Il Vinitaly per ora non si sposta”, “Luigi Di Maio pretenda reciprocità alle frontiere”, l’ordinanza che ha imposto la chiusura delle scuole in Veneto “non sarà reiterata”: nel giro di una mattina (ieri mattina) il governatore veneto Luca Zaia – leghista diverso dal leader della Lega Matteo Salvini e dal pur leghista governatore della Lombardia con mascherina Attilio Fontana – ha percorso metaforicamente l’etere per dire a ogni microfono che il Veneto “ha applicato le linee guida”, ma vuole “tornare velocemente alla normalità”, e che il Veneto non cede alla “psicosi internazionale”, anzi.

 

E, uscendo affannato dall’ennesima riunione della task-force emergenziale, il governatore è parso visibilmente sollevato dall’emergere di un sentimento di saturazione presso i cittadini veneti da lui governati: un gigantesco basta all’allarmismo. “Finiamola anche con la storia del paziente zero”, ha detto; “gli altri paesi nascondono la polvere sotto al tappeto”, ha aggiunto, cedendo il microfono all’assessore regionale alla Sanità, Manuela Lanzarin, ex deputata e sua fedelissima nel cosiddetto “Zaiastan” (nel 2015 Lanzarin è stata eletta consigliere in provincia di Vicenza con la lista civica Lista Zaia), oggi incaricata di enumerare asetticamente i ricoveri ma anche, in chiave pro-ottimismo, i contagiati asintomatici. E se le foto del Canal Grande deserto hanno fatto il giro del mondo, Zaia sembra puntare sull’autoconvincimento in positivo proprio mentre nell’altra regione leghista immersa nell’emergenza, la Lombardia, il binario dell’autoconvincimento in negativo non è stato ancora del tutto abbandonato. E, a differenza che in Lombardia, dove le critiche a Fontana si sono sentite, la regione pare seguire unanime il governatore. Un governatore da quasi dieci anni in sella, in passato chiamato “doroteo” per via dell’attitudine di declinare il leghismo alla democristiana e i modi centristi alla leghista. E oggi Zaia non è apparso scalfito dal terremoto sanitario, anzi: più il suo sistema sembra reggere l’urto, più le sue dichiarazioni paiono lontane dalle uscite di Salvini (nel frattempo salito al Colle sulla scia del desiderio di un governo di unità nazionale).

 

Non è la prima volta: per tutto l’anno e mezzo di governo gialloverde, Zaia, con tutto il sistema Zaia, imprenditori veneti in testa, ha fatto capire più volte che non soltanto la decrescita felice delle ricette economiche “gialle” non poteva passare nella regione (al grido di “ci auguriamo che il governo realizzi il contratto Lega-M5s, ma il nostro contratto con gli elettori vale di più”), ma anche che i veneti, “pagando molte tasse”, si “aspettavano delle risposte” (a partire dall’altra recente emergenza che la regione ha dovuto affrontare, quella del maltempo, nel 2018).

 

E il sistema Zaia, in questi giorni, si mette alla prova poggiando sulla rete di sindaci che ripetono il martellamento anti-psicosi del governatore, e sul parallelo coro motivazionale di quello che un osservatore locale chiama “il triumvirato di assessori”: la suddetta Lanzarin, ma anche la non-leghista Elena Donazzan (esponente di Fratelli d’Italia con un passato in An), assessore al Lavoro e all’Istruzione che in questi giorni insiste sul fatto che il Veneto “vale 165 miliardi in Pil” e che il governo “deve immediatamente assicurare un alleggerimento del carico fiscale sulle imprese dell’intera regione”, non soltanto a quelle della zona rossa, visti i ricaschi economici dell’emergenza sanitaria. Poi c’è Roberto Marcato, leghista d’antan (è membro della Liga Veneta dal 1992), l’assessore regionale allo Sviluppo che ieri ribadiva in altre parole l’irritazione del governatore: “Il Coronavirus non è la peste bubbonica di manzoniana memoria. Ma il punto è che se andiamo avanti così la peste arriverà nei bar, nei negozi, negli alberghi, nei ristoranti. E avrà un nome e un cognome: crisi e recessione”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.