Matteo Salvini (foto LaPresse)

Meglio l'euro che Renzi

Valerio Valentini

Salvini si copre al centro perché teme la “maggioranza Ursula”. Forza Italia guarda a Conte. I contatti tra leghisti e renziani

Roma. Al sentirsi domandare se ci creda davvero, a questa supposta svolta moderata di Matteo Salvini, Renato Brunetta risponde con una pernacchia: “Prrr”. E basta questo per capire che no, l’ex ministro berlusconiano alla manifestazione di piazza San Giovanni non ci andrà. “Ma vi pare che dei liberali come noi possano partecipare a una manifestazione insieme a CasaPound”, si agita alla buvette di Montecitorio Osvaldo Napoli, forzista delle origini, quasi volesse scuotere dal torpore filoleghista una buona metà del suo partito. Proprio mentre, a pochi metri da lui, passa Alessandro Morelli, soldato fedelissimo al suo Capitano, che a sentirsi riportare le lamentele dei berlusconiani allarga le braccia: “Non vengono? Amen, ce ne faremo una ragione”. E insomma si capisce subito che la rimpatriata capitolina del centrodestra di sabato, più che una rinnovata intesa tra Salvini, Meloni e Berlusconi, sarà un connubio d’interessi tra alleati riluttanti, un rattoppare una tela sbregata. E lo dimostra anche l’ansia con cui i deputati leghisti chiedono con insistenza ai colleghi di FI se, come pare a metà giornata (seguirà smentita), alla fine il Cav. potrebbe disertare: “Sarebbe meglio per tutti”. Perché in fondo per Salvini farsi ritrarre insieme al vecchio leader è un danno d’immagine, un “tuffo nel passato di dieci anni”, come dicono nel suo staff. “Il banana”, lo chiamava non a caso, con tono non proprio elogiativo, il capogruppo Riccardo Molinari ancora il 27 agosto scorso: “Per colpa sua nel 2018 ci siamo giocati un mandato esplorativo”, sbuffava. E invece oggi, se gli si chiede un parere sulla reunion di sabato, Andrea Crippa, vicesegretario della Lega, risponde con stupore: “E perché dovrebbe dispiacermi? Governiamo insieme tante regioni, perché dovrebbe essere strano condividere la stessa piazza?”. 

 

 

E lo dice così, Crippa, come se non fosse da quattro anni che Salvini, Berlusconi e Meloni non salgono insieme su un unico palco. L’ultima volta fu a Bologna, nel novembre 2015: e quei fischi che vennero indirizzati al Cav. dalla folla, tanti salviniani se li ricordano ancora come il momento in cui capirono di potersi impadronire del centrodestra. E invece stavolta i sempre scalpitanti Giovani padani sono già stati catechizzati: “Non si contesta nessuno”. Il che dimostra come, dopo velleità di autonomia a lungo coltivate, ora Salvini ha capito che deve “coprirsi al centro”, per evitare che certi pezzi di FI, quelli più ostili all’idea del sovranismo, vengano attratti da Matteo Renzi. “La svolta moderata di Salvini – dice l’azzurro milanese Alessandro Cattaneo – è dettata dalla musata presa in Europa, dove è stato prima illuso e poi tradito dai suoi presunti amici Orbán e Kurz”. E Gregorio Fontana, punto di riferimento di tanti forzisti antitrucisti, i riflessi di quel fallimento li vede già allungarsi fin dentro Montecitorio: “Salvini sa che se si riproduce anche qui la logica del cordone sanitario, per lui è dura”.

 

 

Perché in effetti è questo il timore di Salvini: che a primavera, approfittando del marasma politico che accompagnerà le grandi nomine delle partecipate (che qualcuno nel governo vorrebbe anticipare già a gennaio), Renzi possa traghettare parte di FI dentro alla maggioranza. E non solo Renzi, se è vero che, come dice Osvaldo Napoli, “se Giuseppe Conte facesse un partito, ci sarebbe la fila di almeno trenta dei nostri”. Solo che il premier tentenna, s’atteggia a manovratore democristiano ma al dunque si ritrae. E infatti chi, come il grillino siciliano Giorgio Trizzino, sta lavorando a un ipotetico “gruppo contiano”, predica calma: “Gli incontri continuano – dice – ma dobbiamo stare attenti a tutelare Di Maio”. E perciò è Renzi a preoccupare i leghisti: è la nascita di Italia viva che costringe Salvini a dismettere, benché controvoglia, i panni del Truce nostalgico della lira. Perché è vero che sono per ora solo segnali, ma l’afflusso di parlamentari nel partito di Renzi prosegue. E se l’ex grillino Catello Vitiello s’unirà a breve ai renziani, ci sta; ma se perfino uno come Giorgio Silli, deputato di Prato, ex forzista e ora totiano, si vedrà a cena con Maria Elena Boschi nei prossimi giorni, allora vuol dire che c’è un problema di attrattività per la Lega. E se davvero, di qui a qualche mese, si dovesse formare a Roma quella “maggioranza Ursula” invocata già da Romano Prodi, allora Salvini sa che la terra sotto i piedi gli comincerebbe a tremare. Sarà anche per questo che alcuni dei suoi hanno iniziato ad avvicinare i parlamentari renziani, prospettandogli un eventuale governo insieme, in tempi neppure troppo lunghi. E le risposte, pare, non sono state troppo scandalizzate.