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Dove può nascere un Renzi 2.0

Claudio Cerasa

Tra modello Alfano e partito del pil. La centralità del progetto renziano passa dalla capacità di sedurre il nord sfidando Salvini e il Pd sulla questione settentrionale. Perché Renzi dice di volere la “Carfagna a una prossima Leopolda”. Idee e spunti

L’improvvisa centralità politica acquisita nel giro di due mesi da Matteo Renzi con due colpi di biliardo andati felicemente in buca – prima marginalizzando Salvini, poi trasformando il suo gruppo parlamentare nel vero ago della bilancia della legislatura – ha avuto l’effetto di mettere rapidamente l’ex presidente del Consiglio di fronte a un bivio importante che a voler essere brutali potremmo sintetizzare così: meglio il modello pil o meglio il modello Alfano?

 

Seguire il modello Alfano, per Renzi, significherebbe accontentarsi di usare il potere guadagnato in questa legislatura per provare a strappare qualche parlamentare a Forza Italia (come provò a fare Alfano) e per provare a portare avanti semplici battaglie di potere in vista della copiosa tornata di nomine pubbliche (400 posti) che il nuovo governo dovrà fare entro il 2020. Seguire il modello Alfano, per Renzi, significherebbe entrare con due piedi dentro all’immagine evocata da Romano Prodi, lo yogurt a scadenza ravvicinata. Seguire il modello pil, invece, significherebbe cogliere le molte opportunità che lo scenario italiano offre oggi al modello Leopolda. E quelle opportunità sono nascoste all’interno di un grande tema di cui nessun partito sembra volersi occupare: la questione settentrionale. Per uno strano scherzo del destino, i principali partiti presenti sulla scena politica italiana sembrano essere poco interessati alla conquista degli elettori del nord. Il Movimento 5 stelle a nord del raccordo anulare non tocca palla e per provare a toccare palla è costretto ad allearsi con il Pd (Umbria). Il Pd è tornato a essere molto romanocentrico – romano è il segretario, romano è il ministro dell’Economia, romano è il presidente espresso dal Pd al Parlamento europeo, romano è l’uomo scelto dal Pd per rappresentare l’Italia nella Commissione, romano-thailandese è il consigliere principe del segretario – e non è un caso che il nuovo corso del Pd non sia riuscito a trovare nessun ministro nato sopra Lodi. La stessa Lega controlla sì, insieme con Forza Italia, buona parte delle regioni del nord, Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia. Ma un conto è quando la Lega si presenta in coalizione puntando sulla sua esperienza pregressa come forza tranquilla di governo delle regioni. Un altro è quando invece la Lega, presentandosi di fronte a elettori alla ricerca disperata di un partito capace di rappresentare il pil, si ritrova ad avere il volto di chi, tra ambiguità sull’euro, sull’atlantismo, sull’Europa, sulla Russia, sulle pensioni, sui conti pubblici, ha grosse difficoltà a essere percepito come il partito dello sviluppo e della responsabilità. Per la Lega (che con Salvini ha perso la dicitura Lega nord) un conto è parlare al partito del pil facendo leva sul thatcheriano “Tina”, “There Is No Alternative”. Un altro potrebbe essere parlare al partito del pil dovendo confrontarsi con un avversario intenzionato a portare via dal mondo berlusconiano l’elettorato e il ceto politico moderato (alla Leopolda Renzi annuncerà che il suo movimento prenderà forma in molti gruppi consiliari regionali) e intenzionato a diventare il garante delle politiche necessarie per, come si dice, provare a dare ossigeno al paese.

 

Su questo punto, Renzi proverà a spaccare il Pd (che l’ex premier con cattiveria chiama “Pdt”, come il Ddt, come il Partito delle tasse) sul tema dell’abolizione di quota 100, proverà a intestarsi molte battaglie utili per ridurre le tasse (sì ma con quali soldi?) e proverà a svolgere in questo governo lo stesso ruolo giocato nel governo precedente da Salvini: essere l’argine contro la decrescita grillina. La partita è spericolata ma il tempo c’è. Alle prossime elezioni – alle quali Renzi, ha detto in questi giorni ai suoi amici, vorrebbe arrivare con Mara Carfagna all’interno del suo partito, “la vorrei in una prossima Leopolda e le vorrei dare nel partito un ruolo da assoluta protagonista” – mancano tre anni e visto come è cambiato il mondo in tre mesi senza restare ostaggio della sindrome Alfano lo spazio c’è e potrebbe essere persino più grande del previsto.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.