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Gianni Cuperlo ci spiega dove va il Pd

David Allegranti

La convention di novembre a Bologna, la direzione di Nicola Zingaretti, la ricostruzione dopo le scissioni. Così il Partito democratico può sfidare il salvinismo

Roma. Gianni Cuperlo, presidente della nuova Fondazione Pd, sta lavorando alla convention dei Democratici di Bologna di novembre e spiega al Foglio com’è che diventerà il partito di Nicola Zingaretti.


Il direttore del Foglio Claudio Cerasa ha invitato il Pd di Zingaretti a prendere spunti dalla piazza di Renzi. Concorda? 

“Confesso che a colpirmi di più sabato è stata la piazza di Roma perché ha confermato che la destra c’è, che Salvini sarà pure uscito azzoppato dalla sua follia estiva ma domina un campo dove il liberismo economico è minoritario mentre oramai si è imposto un fondamento reazionario, nella lingua, nei messaggi. La domanda è se noi siamo in grado di contrapporre a quell’impianto una alternativa più solida e credibile. Il governo a cui abbiamo dato vita serve a questo e la prima manovra, a mio avviso, ha preso il verso giusto. Ma qui entra in scena la Leopolda e ciò che l’ha preceduta. Ora, a Renzi tutto si può imputare ma non un difetto di chiarezza. Lui ha detto cosa vuole fare, vestire i panni di Macron, attrarre delusi e orfani da Forza Italia e svuotare il Pd confinandolo al ruolo dei socialisti francesi. Credo sia un disegno velleitario perché fuori tempo se guardiamo a Parigi e fondato su ricette tardo blairiane, per altro senza Blair. Ma al di là di ciò che penso io, resta un nodo di fondo. Questa maggioranza nata anche su impulso di Renzi è una operazione non priva di insidie, abbiamo ereditato una condizione dell’economia e dei conti gravissima. Se dal giorno dopo ciascuno, per motivi di consenso e visibilità, spara sul pianista temo ne esca un frullato indigeribile. Chiedo, a chi gioverebbe tutto ciò? La verità è che si rischia di restituire a Salvini l’intera posta con gli interessi. Quanto alle parole, eviterei di giocarci sopra. ‘Le nostre sono idee, non ultimatum’, ho capito! Ma se tu contesti una manovra che hai approvato ieri sera e che abbiamo già mandato in Europa chiamala come credi, ma somiglia tanto alla tela di Penelope”.

 

Quella di novembre a Bologna che manifestazione sarà?

“Sarà il tentativo di mettere testa e cuore non sull’agenda del semestre ma del decennio. Con quali priorità si entra negli anni Venti del nostro secolo ma soprattutto con quali immaginiamo di uscirne. In fondo i vent’anni alle spalle hanno prodotto due fratture. La rivoluzione digitale e la grande crisi, quella che ha colpito valori e vita della classe media. La combinazione di questi due eventi segna per l’Europa il più incredibile cambio d’epoca nella storia moderna. Vuol dire che mutano il modo di produrre, consumare, conoscere, coltivare relazioni umane e sociali. Cambia, ed è già cambiato, il concetto di competenza e la gerarchia dei poteri per come l’avevamo ereditata. Se questo è il portato, una miscela di potenzialità liberatorie e di nuove diseguaglianze, devi attrezzare altre categorie di comprensione e di governo. Io dico che il Pd da solo questa forza oggi non ce l’ha e deve bussare a porte diverse, discipline, esperienze associative e di movimento, il civismo che reagisce, un’impresa sana che vuole competere, un lavoro da ricostruire nella trama dei diritti. Il partito di cui parla Zingaretti nascerà anche da questo processo”.

 

Il Pd di oggi ha un problema d’identità. Che cosa vuole essere? C’è chi dice, polemicamente, che è il “partito delle tasse”…

“Mi lasci dire che dopo due scissioni parlamentari restiamo la seconda forza del paese e stiamo dando un’impronta alle scelte di fondo del governo. Vedo anche i limiti certo, ma chi nega questa fotografia nega la realtà. Quanto alla battuta sul ‘partito delle tasse’ è apparsa solamente offensiva. E non per il merito in sé che è una sciocchezza ma per lo stile. Io ho rispetto per chi ha scelto un’altra strada. Lo ritengo un errore ma ognuno va dove sente di dover andare. Dico una cosa diversa, fino a ieri siete stati in un partito che per oltre quattro anni avete ‘comandato’ liquidando professoroni gufi e parrucconi, selezionando le liste che vi hanno eletto sulla base di criteri di fedeltà. Ma insomma, se te ne vai almeno il buon senso di non fingere che sei passato da lì per caso e quel tanto di rispetto verso il partito che ti ha messo nella condizione di governare e di stare dove stai, ecco forse questo sarebbe stato dovuto e al fondo apprezzato”.

 

Cosa pensa che occorra al Pd per adeguarsi, sui temi e nell’organizzazione (tema fondamentale per un partito come spiega Mauro Calise nei suoi libri), al 2019?

“Se per temi intende quale idea di paese dobbiamo avanzare credo serva la premessa su cosa è e da dove origina il declino italiano. A me convince la tesi di un ‘vantaggio dell’arretratezza’ che nei trent’anni gloriosi ci ha consentito di colmare il gap di produttività che ci separava dai nostri competitori. Abbiamo importato tecnologia e scalato posizioni sfruttando il sapere degli altri. Il punto è che quando un paese arretrato completa il suo processo di convergenza deve adeguare le sue istituzioni a partire dalla supremazia della legge e dalla protezione della concorrenza. Noi questo non lo abbiamo fatto o lo abbiamo fatto solo parzialmente e oggi ne paghiamo il prezzo. Corruzione, evasione fiscale, uno stato burocratizzato e lento, infiltrazioni criminali, la giustizia che conosciamo: un’altra idea di paese passa da qui perché è il modo di riportare al centro i diritti calpestati di chi è rimasto indietro, dei ragazzi che abbandonano la scuola come dei laureati del Sud che lasciano l’Italia fino alla filiera drammatica di vite precarie che chi sta in alto finge di non vedere.

  

Il Pd rischia di essere barbarizzato dal M5s dopo aver tentato di costituzionalizzarlo? 

“No, il pericolo non è questo. È stato un errore teorizzare i pop corn dopo il 4 marzo, sarebbe una fuga in avanti battezzare ora un’alleanza strategica senza il piedistallo necessario a reggerla. Ma ancorare quel movimento, o la sua larga parte, a una alternativa alla destra nazionalista, questa mi pare una scelta sacrosanta se vogliamo competere con i sovranisti in modo credibile e non per fare testimonianza”. 

 

Il Pd ha perso un sacco di personalità, si possono ancora recuperare o “il partito dell’attualità” se le è mangiate per sempre?

“In queste settimane sto lavorando all’appuntamento di Bologna e una cosa mi colpisce. Che quando vai a disturbare personalità o esperienze anche distanti da noi, in particolare dall’ultima stagione, le domande e i dubbi sono tanti ma alla fine c’è la consapevolezza che un filo va riavvolto e non per camminare con la testa rivolta all’indietro ma per condizionare il dopo. Conosco i limiti del Pd di questi anni a partire da un correntismo ossessivo e privo dell’autonomia di pensiero di correnti strutturate attorno a un disegno, a valori da preservare. Il punto è che un correntismo senz’anima si traduce nel più antico notabilato, e quel che è peggio, nel ritorno a un accesso patrimoniale alle cariche elettive. Per tutto questo il Pd, il progetto che gli diede vita, va ripensato e riorganizzato. A Bologna spero che faremo un passo deciso in quella direzione”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.