Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Dietro il lapsus c'è sempre una verità

Salvatore Merlo

Da Di Maio a Conte. L’involontarietà di questi tempi è una magnifica chiarificazione

 

Tutto forse è cominciato un anno fa, una sera di ottobre del 2018, in tempi (come oggi) di manovra economica, quando Luigi Di Maio, vicepremier di un governo che stava allegramente pasticciando con il bilancio e il deficit, si presenta in televisione da Nicola Porro (che quasi si mette a ridere), e pronuncia queste esatte parole con molle e distratta innocenza: “Vogliamo costringere l’Unione europea a dirci di no alla manovra”. Il governo spandeva numeri come gas, annunci come saette, minacce come coriandoli, e il lapsus di Di Maio apparve subito come uno squarcio di verità, il controsenso che mostrava la sua natura di errore che rivela: sanno di non poter mantenere le promesse e vogliono scaricare la colpa della loro inadeguatezza sull’Europa. Tra inconscio e subconscio, atti mancati e proiezioni, è da circa un anno che i politici italiani ci spiattellano la verità in faccia ma sotto un’inedita forma perturbante che sarebbe di certo piaciuta a Freud. Tre giorni fa Matteo Renzi, per dire, si trovava in televisione, a Sky tg 24, e parlava del destino della legislatura che si concluderà nel 2023. Nel rassicurare gli alleati sulla sua lealtà, l’ex presidente del Consiglio s’è trovato a dire che possono proprio stare sereni, che Zingaretti è in una botte di ferro e anche Franceschini, perché “voteremo nel 2020…”, cioè tra due mesi. Come ben si vede, l’involontarietà di questi tempi è una magnifica chiarificazione.

 

Così quando tra cinquant’anni nelle note a piè di pagina dei manuali di storia del liceo sarà forse riassunto l’acrobatico anno e mezzo in cui il governo d’Italia passò dal gialloverde al rossogiallo, potrebbe darsi che gli storici si trovino a quel punto a riconoscere, fra le trascurabili costanti di quel breve ma sorprendente periodo – oltre alla figura di un tale professore pugliese che s’era fatto premier con la destra e poi pure con la sinistra – anche la “prevalenza del lapsus”, cioè del tic linguistico della parola insensata a cui affidare l’inconfessabile: l’unico strumento retorico davvero sincero d’una fase politica assieme densa e confusa. E insomma nel 2069 gli storici non potranno che ricordare quel 19 aprile del 2019 quando Matteo Salvini, iperbolico leader di quegli anni spettacolari, pilastro del governo gialloverde con cappellino della polizia in testa, aveva garantito la saldezza della sua alleanza con tale Di Maio spiegando che: “Questo governo sta facendo bene, e può andare avanti per altri quattro mesi… Volevo dire quattro anni”. Sarà notato a quel punto dagli storiografi più pignoli che, in effetti, quattro mesi dopo, cioè il 14 agosto 2019, Salvini fece cadere il governo proprio come promesso per sbaglio: ops!

 

E forse davvero Salvini, come Di Maio prima di lui e come Renzi dopo di lui, ci stava solo raccontando, con una paradossale verità dal sen fuggita, la sua paura di farcela, chissà, tutta la furbizia e i timori, i progetti che avvolgevano i suoi pensieri. Lapsus ed errori, diceva Freud, segnalano infatti un universo di mete, ragionamenti, giudizi, interessi, contraddizioni non banali, atti mancati o riusciti, persino ambizioni. “Io, quale presidente della Repubblica…”, è d’altra parte una delle dichiarazioni pubbliche per le quali forse sarà più ricordato Giuseppe Conte, assieme a quel recentissimo “avvieremo un ‘circolo vizioso’ sulle fonti rinnovabili”, pronunciato il 10 ottobre scorso, proprio mentre la “manovra green” del governo già appariva di un verde alquanto sbiadito.

 

Sembra proprio che in tempi di dissimulazione spinta, soltanto il lapsus dei leader politici rompa il copione, disveli e riveli, assumendo quasi una funzione sociale indispensabile e sintomatica. La politica, diceva Kraus, è effetto di scena, insomma per sua natura tende a sviluppare un rapporto candidamente alternativo con la verità. “Io e Salvini ci fidiamo ciecamente l’uno dell’altro” (Di Maio 24 novembre 2018), “non governerò mai con il M5s” (Zingaretti 28 agosto 2019). E allora benvenuto lapsus vendicatore! Sarà forse l’epigrafe di questa stagione politica.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.