Claudio Borghi (foto LaPresse)

La sottile linea Borghi

Valerio Valentini

Il leghista scrive in chat dopo “il casino” causato da Salvini. Eurexit? Non da soli, dicono Rixi e Durigon

Neanche è servita un’abiura. E’ bastata una sbandata, e poi una ulteriore capriola retorica di Matteo Salvini, per suggerire a Claudio Borghi di mandare un messaggio in chat ai deputati leghisti per ricordare quale sia “la posizione ufficiale per tutti” sull’euro: che è, manco a dirlo, sempre perennemente ambigua. Restare o uscire? Chissà.

 

Fatto sta che è stato sufficiente un mezzo ripensamento, fatto non proprio coi crismi che s’addicono alla “svolta” ma con un’intervista concessa a un quotidiano (questo quotidiano, nella fattispecie), per mettere in fibrillazione la variegata galassia dei nostalgici della lira che gravita intorno alla Lega. Perché lunedì, quando le dichiarazioni rilasciate da Salvini ad Annalisa Chirico (“L’euro è irreversibile”) hanno iniziato a volteggiare nel frastuono delle agenzie, e di lì si sono riversate sui social, Borghi è subito dovuto correre ai ripari. Il presidente leghista della commissione Bilancio alla Camera, lui che sull’Italexit ha costruito la sua carriera di consigliere economico del Capitano, ha rilanciato un vecchio post di Alberto Bagnai – altro guru no-Euro e dunque scelto dal Carroccio per presiedere la commissione Finanze al Senato – per tranquillizzare i suoi follower già sul piede di guerra. Sintesi dello scritto di Bagnai: tranquilli, c’è una strategia ben studiata che ci impone di negare la volontà di uscire dall’euro proprio per riuscire a raggiungerla. Tutto secondo i piani, dunque? In verità la teoria non ha convinto proprio tutti i seguaci di B&B.

 

Ma ecco che in serata, Salvini ci ripensa, almeno in parte. O quantomeno rinnova la sua ambiguità sul tema della moneta unica, ribadisce la sua natura di centauro, mezzo Truce e mezzo sedicente responsabile, di cui è impossibile stabilire se sia più uomo o più cavallo. E così, incalzato da Nicola Porro negli studi di Rete 4, quando s’è visto mettere alle strette sul “sì o no” all’uscita dall’euro, l’ex ministro dell’Interno ha risposto alla maniera sua, e cioè un po’ criptica: “L’euro è la moneta che abbiamo in tasca rimetterla in discussione da soli non ha senso e non è possibile. Se ci sarà in futuro una ridiscussione delle politiche monetarie in Europa noi ci siamo e ci aggreghiamo”.

 

Al che Borghi ha subito rilanciato nella chat dei deputati leghisti delle commissioni economiche, seppure scrivendola in maniera non proprio fedele all’originale, la risposta del leader sulla possibilità di abbandonare la moneta unica: “Unilateralmente No. Al momento non ci sono le condizioni in Unione europea per cambiamenti condivisi, se le cose cambieranno vedremo”. E a commento della frase attribuita a Salvini, Borghi ha tentato di catechizzare i suoi compagni di partito sulla linea da seguire: “Dopo un po’ di casino stasera Matteo ha riportato correttamente la posizione che avevamo nelle faq sull’euro. La riporto per comodità perché diventa posizione ufficiale per tutti”. E nel dirlo, Borghi faceva evidentemente riferimento a un opuscolo redatto da B&B, con tanto di prefazione di Salvini, a inizio 2017, dove però si affermava una cosa un po’ diversa: “Se in Europa le forze contrarie all’Euro riuscissero ad ottenere una forte affermazione, tutto diventerebbe più facile”, scrivevano i due contabili leghisti, alludendo a una stravolgimento continentale che in realtà non è avvenuto.

 

In ogni caso, per quanto apparentemente surreale, il messaggio di Borghi sembra avere sortito il suo effetto. Lo si capiva ieri, camminando in Transatlantico e interrogando sul tema esponenti leghisti di primo piano. Edoardo Rixi, ad esempio, rispondeva così: “L’euro è in crisi sistemica da quando è nato. Si tratta di una moneta pensata male, e nata peggio, che ha indebolito la nostra economia perché troppo forte, ma che ormai ha messo in crisi l’economia di tutta Europa. Anche perché è assurdo avere una moneta unica ma non avere un’unione fiscale. Così non regge. E’ insomma – diceva l’ex viceministro ai Trasporti – una bomba pronta a esplodere. Siamo seduti sulla vetta appuntita di una montagna dai crinali scoscesi. Ma per cambiare l’euro serve la forza politica necessaria: e l’Italia da sola a Bruxelles non ce l’ha”.

Claudio Durigon, invece, pareva riportare la “dottrina Borghi” in modo ancora più fedele. “Salvini ha detto che non si esce dall’euro? In realtà ha detto, più correttamente, che non si esce da soli. E ha ragione. Da soli, dove vogliamo andare? A romperci le corna?”, chiedeva l’ex sottosegretario al Lavoro. Che poi proseguiva: “Se invece ci fosse un’azione congiunta di altri paesi, sarebbe un altro discorso. A quel punto: perché no?”. Ma quali altri paesi? “Be’, anche in Germania – rispondeva Durigon – mi sembra che la situazione non sia tranquilla”. Così poco tranquilla da spingere Berlino verso l’Eurexit? “E chi può dirlo?”.