Giovanni Toti, presidente della regione Liguria e fondatore del movimento "Cambiamo" (foto LaPresse)

Lungo la faglia centrodestra-centrosinistra, tra B. e Renzi. Parla Toti

Marianna Rizzini

La road-map, per il governatore ligure, passa dal “ridare voce, nel centrodestra, al blocco sociale moderato riformista, impegnandosi su temi passati in secondo piano come la modernizzazione, la ricerca, l’istruzione, i cantieri"

Roma. A pochi giorni dal vertice di Arcore tra Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni – vertice in cui, in vista delle elezioni regionali, i tre leader si sono riproposti di interloquire regolarmente “per liberare gli italiani da una maggioranza che esiste solo nel Palazzo, che si è già rivelata inadatta a governare le complessità del nostro paese e procede per risse e scontri, promettendo nuove tasse e meno sicurezza” – c’è chi crede che il centrodestra stia per trovare davvero una nuova unità e chi osserva con molte cautele. Giovanni Toti, governatore della Liguria, ex coordinatore di Forza Italia e fondatore del movimento “Cambiamo”, nato l’estate scorsa con l’intenzione di “ridare equilibrio al centrodestra in maniera cristallina, avendo come alleati la Lega e Fratelli d’Italia”, oltre a osservare, e a dichiarare che a quel vertice non avrebbe avuto “altro da dire” rispetto a quanto già detto a Salvini sulla propria ricandidatura in Liguria, si trova di fatto, e letteralmente, tra due rischi di svuotamento: da destra, se Forza Italia riprende quota grazie alla nuova concordia con Salvini e Meloni, e da sinistra, se l’Italia Viva di Matteo Renzi, come sta già accadendo, attrarrà altri fuggitivi da Forza Italia. E però, quando gli si fa notare il doppio pericolo imminente, Toti risponde come chi vede in qualche modo il bicchiere (ancora?) mezzo pieno: “L’orizzonte è molto incerto. Faccio notare piuttosto che la faglia freatica tra centrosinistra e centrodestra corre proprio lungo ‘Cambiamo”, dice al Foglio, salutando con favore il percorso “verso la ricostruzione di un solido bipolarismo: da un lato i Cinque stelle, che io ho sempre considerato una formazione più di sinistra che di destra, un Pd tornato tornato un po’ Pds e la formazione di Renzi al posto della vecchia Margherita; dall’altro un centrodestra dove predominano la forza e i numeri di Salvini. Una forza sovranista. Ma è un errore non considerare il resto”. Il resto, per Toti, non è soltanto “il conglomerato moderato che al momento, nel paese, varrebbe circa il 12 per cento, sommando il 5 per cento di Forza Italia, il 4 per cento di Matteo Renzi e il 3 per cento di altre formazioni, compresa la mia: il bacino elettorale è potenzialmente molto più ampio, c’è molto più spazio. Bisogna andare allora a raccogliere questo consenso ancora inespresso”.

 

La road-map, per Toti, passa dal “ridare voce, nel centrodestra, al blocco sociale moderato riformista, impegnandosi su temi passati in secondo piano rispetto alle urgenze espresse dalle forze sovraniste: la modernizzazione, la ricerca, l’istruzione, i cantieri. Si rischia altrimenti la scomparsa del polo moderato all’interno del centrodestra. Abbiamo perso e mai recuperato, negli ultimi anni, milioni di voti. Con il nostro piccolo movimento vogliamo dare un contributo in questo senso, e anche di questo parleremo durante la terza settimana di novembre, a bordo di una nave ancorata al largo del porto di Genova, per costruire un programma competitivo, anche se nella stessa metà campo, rispetto a quello degli amici sovranisti, che pure hanno colto il disagio di una parte del paese. Ben venga dunque un accordo tra Forza Italia e la Lega; noi vogliamo dare casa a chi non si sente più rappresentato. Ci collochiamo insomma, come offerta aggiuntiva, a sinistra nel centrodestra”. E però ora, a destra nel centrosinistra, c’è un Renzi che sembra ambire alla conquista dello stesso bacino di voti. “Noi puntiamo a dare risposte al mondo a cui il tridente Salvini-Berlusconi-Meloni non arriva più o fatica ad arrivare: il Sud, l’impresa, i grandi centri urbani”. E se la Lega, riavvicinandosi a Forza Italia, si avvicinasse in Europa al Ppe, come ha detto giorni fa l’ex sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti, durante una puntata di “Mezz’ora in più”? “Nel Ppe c’è anche Viktor Orban”, dice Toti, “quella del Ppe è una famiglia vasta, e in alcuni paesi inguaiata: si vedano i casi spagnolo e francese. Non so se l’ingresso della Lega sarebbe risolutivo, per il Ppe”. In Italia, intanto, Toti si augura che la Lega senta una sorta di “responsabilità di coalizione”. Se si vuole evitare che l’elettore ricorra al voto residuale, della serie ‘voto il meno peggio’”, dice, “non si può campare alla giornata, contando i like a fine giornata. C’è bisogno di coalizioni stabili, di forze non ondivaghe, con obiettivi chiari. La crisi non è una crisi politica, ma di sistema. Dobbiamo adeguare gli strumenti”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.