Luglio 2018, Salvini fa il bagno nella piscina di una struttura confiscata alla mafia a Siena (foto LaPresse)

Cosa resta dell'antimafia di Matteo Salvini?

Riccardo Lo Verso

Tanti tweet, alcuni inopportuni nella tempistica, parola urlate nell'eterna campagna elettorale, dirette Facebook e persino un tuffo in piscina. Tutto molto folcloristico, ma per nulla sostanzioso

Sembra già una vita fa. Le incursioni social sono molto di moda. Fanno tendenza, gonfiano il consenso, eppure tracciano linee invisibili. Cosa resta dell'antimafia dell'ex ministro Matteo Salvini? Tanti tweet, alcuni inopportuni nella tempistica, parola urlate nell'eterna campagna elettorale, dirette Facebook e persino un tuffo in piscina. Tutto molto folcloristico, ma per nulla sostanzioso.

 

Certo non si può dire che il Capitano alla guida del ministero dell'Interno non ci abbia provato, ma i suoi tweet lanciati nello stagno delle rete hanno superato con fatica lo Stretto di Messina. Niente a che vedere con le inarrivabili vicende dell'immigrazione.

 

Una mattina di agosto dell'anno scorso – non il mese del Papeete e della crisi del mojito - Salvini chiuse con l'hashtag #lamafiamifaschifo un tweet che celebrava la confisca di “ville, terreni, automobili e moto, negozi e conti correnti per un totale di 150 MILIONI ad alcuni mafiosi a Palermo, molto bene! Grazie alle Forze dell'ordine, avanti così, dalle parole ai fatti alla faccia dei chiacchieroni”. Ce l'aveva con Roberto Saviano. Salvini si prese meriti che non erano, non potevano essere suoi, visto che le indagini patrimoniali risalivano a quattro anni prima. Non era merito del governo giallo-verde, ma faceva comodo dirlo.

 

Un mese prima, in luglio, Salvini aveva lanciato “la lotta senza quartiere” contro quei “bastardi camorristi e mafiosi in Italia. Vediamo di prenderli veramente a bastonate", prima di tuffarsi nella piscina di una struttura confiscata a Siena in favore di telecamera.

 

La parola mafia deve essere risultata démodé nei parametri social se è vero, come è vero, che Salvini ha pensato ad un certo punto di rivitalizzarla nel modo a lui più congeniale. “Mafiosi e scafisti: per me siete le stesse merde”, annunciò in una delle immancabili dirette Facebook. Se poi i mafiosi erano pure nigeriani (la mafia nigeriana è una realtà radicata nei quartiere popolari di Palermo) il mix non poteva che essere vincente. Un nuovo tweet celebrò un blitz con quindici arresti a Torino. Il procuratore Armando Spataro non la prese bene. Erano sorti “rischi di danni al buon esito dell'operazione che è tutt'ora in corso, ci si augura che per il futuro il ministro dell'Interno eviti comunicazioni simili”. Apriti cielo: secondo Salvini, era un attacco politico da parte di un magistrato a cui augurare “un futuro serenissimo da pensionato” poiché “gli attacchi politici e gratuiti lasciamoli fare ai politici che si candidano alle elezioni”.

 

Che è, più o meno, lo stesso ragionamento che lo spinse, lui che era stato eletto, a polemizzare con “altri non eletti da nessuno”. Ce l'aveva con il capo della procura di Palermo che gli aveva spedito un avviso di garanzia per sequestro di persona nell'ambito dell'inchiesta sulla nave Diciotti. Un avviso che Salvini, neanche a dirlo, lesse in diretta Facebook. Sul lavoro della procura palermitana il ministro cambiò idea quando arrivò il momento, pochi mesi dopo, di svegliare i suoi ammiratori con un cinguettio mattutino: “La giornata comincia splendidamente con un durissimo colpo alla mafia sull'asse Palermo-New York. Orgoglioso della nostra Polizia di Stato e degli inquirenti italiani”. I pm guidati da Lo Voi avevano appena arrestato i padrini della nuova Cosa Nostra, che poi sono gli scappati alla guerra di mafia degli anni Ottanta. Nelle montagne russe del pensiero ministeriale partì, dal profilo Twitter, un secondo lancio: “A due giorni dall'anniversario della strage di via D’Amelio, in cui vennero assassinati Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, la lotta senza tregua al cancro mafioso è il modo migliore per onorare la memoria di tutti i Martiri dello Stato“.

 

Nello schema comunicativo salviniano non poteva mancare il richiamo ad un altro eroe, Giovanni Falcone. Il 23 maggio, giorno dell'eccidio di Capaci, Salvini inserì la commemorazione per Falcone nel volantino social sugli appuntamenti elettorali in vista delle elezioni europee. Poi arrivò al bunker del carcere Ucciardone. Passerella nel tempio dell'antimafia, l'aula che ospitò il maxiprocesso ai boss, con tanto di selfie e passeggiata con un candidato.

 

Un mese prima Salvini era andato a inaugurare il commissariato di una città simbolo: “Ho scelto Corleone per dire ai giovani che vince lo Stato”. Era il 25 aprile, si smarcava con la sua presenza corleonese dalle celebrazioni per la festa della Liberazione. La sua giornata si chiuse a Monreale con una risposta piccata a un gruppo di giovani contestatori: “Vi regaliamo pane, nutella e un libro di Saviano”. Quella volta era in camicia bianca. Niente felpe della polizia, una quasi divisa di ordinanza nei 14 mesi salviniani ricchi di incursioni social. Che fanno tendenza, ma non lasciano il segno.

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