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Tutti i danni creati alla giustizia italiana dal governo populista

Ermes Antonucci

Occasioni perse, problemi creati. Dalla prescrizione abolita al nuovo potere ai magistrati. Le colpe simmetriche di Lega e M5s

Riforme mancate, fallimenti e una serie di obbrobri populisti e forcaioli. E’ questo il bilancio sconfortante dei risultati ottenuti in materia di giustizia dal governo a guida Lega-Movimento 5 Stelle nel corso della legislatura. Un disastro di cui occorre prendere atto ora che la crisi di governo è stata ufficializzata, partendo dalle tante occasioni mancate di una maggioranza che per mesi ha propagandato il “cambiamento”. Nulla è stato fatto per limitare il circo mediatico-giudiziario e il fenomeno, indegno di un paese civile, della pubblicazione sui giornali delle intercettazioni penalmente irrilevanti, dopo che la riforma varata in precedenza dal ministro Orlando è stata di fatto cancellata. Nulla è stato fatto per superare le commistioni tra pm e giudici separando le loro carriere, come suggerito dalla proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare depositata in Parlamento dall’Unione Camere Penali Italiane, che ha ottenuto oltre settantamila adesioni. Nulla è stato fatto per affrontare il tema dell’obbligatorietà dell’azione penale, principio costituzionale sostanzialmente violato ogni giorno (nel silenzio) dai pubblici ministeri, a vantaggio di una loro incontrollata discrezionalità.

 

Nulla è stato fatto per migliorare la vita dei 60 mila detenuti ammassati nelle carceri italiane (i posti disponibili sono 50 mila) e con poche possibilità di seguire un percorso di reinserimento sociale, dopo che il governo gialloverde ha neutralizzato la riforma dell’ordinamento penitenziario varata da Gentiloni. Nulla è stato fatto per riformare il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, persino dopo lo scandalo sulle nomine, se si escludono gli interventi che erano stati ipotizzati (tra cui un meccanismo, probabilmente incostituzionale, di sorteggio dei componenti) e che ora resteranno lettera morta. Ma, soprattutto, nulla è stato fatto per migliorare e velocizzare un sistema giudiziario inefficiente e tra i più lenti d’Europa, che costringe gli imputati a subire per anni una gogna giudiziaria e che scoraggia gli investimenti nel nostro paese. Su entrambi i fronti, la riforma del processo civile e quella del processo penale, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede era soltanto riuscito a immaginare un pannicello caldo, fatto di misure timide e aleatorie (come l’indicazione dei termini massimi di svolgimento delle indagini e dei processi, facilmente aggirabili dai magistrati).

 

Persino questi cauti interventi, su cui dieci giorni fa si era consumata l’ennesima frattura tra Lega e M5s, resteranno irrealizzati, col risultato che i tempi della giustizia in Italia continueranno a essere biblici, o anche peggio. E qui arriviamo alle cose fatte dal governo gialloverde. La principale riforma giudiziaria approvata dalla maggioranza pentaleghista, infatti, è l’abolizione della prescrizione dopo una sentenza di primo grado. Una riforma inutile, visto che oltre il 70 per cento dei procedimenti penali finisce in prescrizione al termine delle indagini preliminari, ma anche dannosa e anticostituzionale, perché renderà i processi eterni dopo una sentenza di primo grado, persino in caso di assoluzione. Una vera “bomba nucleare”, come la definì il ministro Bongiorno (prima che la Lega decidesse di votare comunque a favore), pronta a esplodere il 1 gennaio 2020, data della sua entrata in vigore. Restano poi le tante riforme “spot” approvate nel corso della legislatura con identico intento populista e giustizialista: la legge anticorruzione (cosiddetta “spazzacorrotti”) che ha introdotto pene più alte, più carcere, più uso di trojan e l’agente sotto copertura; la legge sul voto di scambio, che ha reso ancora più evanescente questo reato, prevedendo una pena persino più alta di quella per l’associazione mafiosa; i decreti sicurezza che mirano a gestire il fenomeno migratorio con una serie di misure punitive (alcune delle quali palesemente incostituzionali e già bocciate dal presidente della Repubblica); la riforma della legittima difesa; l’abolizione del rito abbreviato per i casi in cui è previsto l’ergastolo; il Codice rosso per il contrasto alla violenza contro le donne, in cui non c’è spazio per la prevenzione ma solo per la repressione. Un lascito pesante, che contribuirà a imbarbarire ancora di più la giustizia italiana. 

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